Caso Bibbiano, la testimonianza choc di Stefania: "Così mi hanno portato via la mia bambina"

“Io non so neanche dove sia. Non so se sta bene. Non so se piange, se mi cerca. Sono disperata"

Caso Bibbiano, la testimonianza choc di Stefania: "Così mi hanno portato via la mia bambina"

“Hanno rapito mia figlia”. Inizia così la conversazione con Stefania che, al telefono con la voce rotta dal dolore, ci racconta di come i servizi sociali di Reggio Emilia le hanno strappato via la sua bambina di appena due anni.

”Una mattina - dice - mentre ero sola in casa, sento dei rumori venire dal giardino. Dopo poco qualcuno inizia a bussare forte alla porta”. Era il 3 aprile. Stefania va a controllare chi è. Sono un uomo e una donna. Si presentano e le dicono di essere dell’Enpa, l’Ente Nazionale Protezione Animali, e affermano di essere intervenuti dopo una segnalazione del vicino di casa: “I cani abbaiano troppo”. Ma Stefania non si fida. Come erano arrivati in giardino i due? E perché volevano entrare con la forza in casa sua alle 10 del mattino? “Ero perplessa - continua - e ho chiesto spiegazioni, ma loro mi continuavano a dire che dovevo aprire”.

Marco, il compagno di Stefania, aveva installato alcune telecamera nel giardino dopo aver subito un furto. È proprio dalle immagini di quei monitor che la madre comincia a sospettare che ci sia qualcosa di strano, quando si accorge che stanno arrivando anche altre persone. Poi il buio. “Tutto d’un tratto mi accorgo che le telecamere si erano spente - spiega in lacrime Stefania - mi avevano staccato la corrente. Ero terrorizzata.”

Stefania decide di chiamare sua madre, che subito raggiunge la figlia a casa e riattiva immediatamente la luce. Da quel momento le telecamere riprendono a registrare. Nel frattempo, però, erano arrivati anche i poliziotti: “Era surreale, non capivo cosa stesse succedendo”. Così Stefania si ritrova cinque persone dentro casa. “Mi chiedono i libretti dei miei cani. E io inizio a cercare per darglieli", spiega la mamma. Ma mentre Stefania cerca di soddisfare le richieste della polizia qualcuno inizia a salire le scale della sua casa. Al piano di sopra dormiva la bambina. Passano pochi minuti e Stefania sente piangere la piccola. Un pianto di terrore. La mamma si precipita a vedere cosa è successo: “Mia figlia era tra le braccia di un uomo che la teneva come un pacco. A testa in giù. E intanto correva per le scale.” La mamma allora inizia a rincorrere l’uomo e cerca di strappargli via la piccola. “Ho iniziato a correre più forte che potevo. Nessuno può capire cosa scatti nella mente di una madre in una situazione simile. Non capivo più niente - continua la mamma -. L’avevo quasi raggiunta, ma loro sono stati più veloci. L’hanno caricata sulla macchina e se ne sono andati”. L’auto dei servizi sociali si allontana dalla casa mentre Stefania, in lacrime, guarda sua figlia sparire tra i palazzi. Da quel giorno i due genitori non hanno più visto la loro bambina. “Io non so neanche dove sia - grida al telefono la madre -. Non so se sta bene. Non so se piange, se mi cerca. Sono disperata. Tutto questo mi sta uccidendo.”

Ma facciamo un passo indietro. Tutto inizia molti anni fa, quando Stefania all’età di vent’anni cade nel tunnel della droga. “I miei - ci confessa - si erano da poco separati. Stavo videndo una situazione difficile. Ho iniziato a fumare eroina. In realtà non sapevo neanche cosa stessi facendo.” Ma la donna capisce subito che quella strada le avrebbe rovinato la vita, e così inizia a curarsi: “Dopo poco decisi di smettere e mi rivolsi al Sert”. Ed è proprio lì, tra medicinali e crisi di astinenza, che la donna conosce un uomo. I due si incontrano a Parma, nella clinica in cui lei si stava disintossicando. Usciti dalla struttura i due si sposano e, dal matrimonio, nasce una bambina. Dopo due anni e mezzo la mamma decide di tornare in una clinica. Questa volta per liberarsi dalla dipendenza di Subutex, un farmaco molto invasivo che le avevano dato per curare la dipendenza dagli oppiacei. “Mentre ero in clinica - aggiunge - la bambina stava con mia madre, che per starle dietro aveva chiesto aiuto a mia zia.” Ed è da lì che iniziano i problemi. La zia sostiene che la nipote non sia in grado di gestire la figlia. E, tramite alcune conoscenze, decide di far intervenire gli assistenti sociali. Con un provvedimento d’urgenza la bambina viene affidata ai servizi sociali e collocata presso la zia. Ma, al tempo, Stefania, lontana da casa, decide di subire questa situazione: “Ero troppo giovane e non avevo le risorse economiche per difendermi nelle sedi opportune. Ho sbagliato, ho lasciato correre.”

Per lei da quel giorno inizia un’altra vita. Conosce Marco e, dopo poco, esce definitivamente dalla droga. Nel 2016 Stefania rimane incinta della sua seconda figlia. Una gravidanza felice, questa volta, accanto all’uomo che l’ha aiutata ad uscire da ogni tipo di dipendenza. Una mattina la madre, che da giorni non riusciva a dormire, decide di andare al pronto soccorso. E lì, per la mamma, inizia l’inferno. La struttura ospedaliera avverte il reparto di psichiatria e si rivolge agli assistenti sociali. Gli stessi che già avevano agito contro di lei dopo le segnalazioni della zia con la prima figlia e che, questa volta, chiedono esplicitamente di essere richiamati quando la madre verrà ricoverata per il parto. E così è stato.

“Dopo il parto mi hanno chiesto di sottopormi alle analisi tossicologiche. Io non capivo perché. Erano già tre anni che ero pulita. Non c’era nessun motivo per controllarmi ancora", racconta. Ma Stefania decide di collaborare, ha paura che il gioco-forza non giovi alla situazione. Le analisi sono negative, sia per lei che per la bambina: “Ero contenta, pensavo che a quel punto mi lasciassero stare. Credevo che finalmente mi sarei goduta la mia bambina”. Racconta la mamma. Ma non fu così. Le analisi non bastarono. I servizi sociali obbligarono la madre ai controlli domiciliari: “Le assistenti venivano da me ogni giorno. Mattina e pomeriggio.” Nonostante le continue pressioni, le visite giornaliere e il dispiacere di essere considerata una madre inaffidabile dopo tutti gli sforzi e gli obiettivi raggiunti per rimettere in piedi la sua vita, la mamma non si oppone e fa tutto quello che le viene chiesto. Fino a quando non le annunciano che dovrebbe andare in una casa famiglia insieme a sua figlia: “Mi rifiutai. Non potevo accettare una cosa del genere. Non c’erano motivazioni valide per allontanarci da casa. Sono anni che sto bene. Vivevamo felici, tutta la famiglia insieme, nella nostra casa. Mi stavano togliendo tutto, senza spiegarmi perchè. Dovevo lottare per la mia felicità.”

Una battaglia estenuante. A ottobre del 2018 il Tribunale dei minori di Bologna emette un decreto provvisorio. Le motivazioni, a suo dire, sono false: “Dichiaravano che vivevo in uno scantinato, cosa assolutamente non vera.

Ribadivano la mia tossico dipendenza, ormai superata da anni.” Con quel decreto la piccola sarebbe stata strappata dalle braccia dei suoi genitori. Non ci sta ad essere stata raggirata. E Stefania, oggi, rivuole sua figlia.

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