Le condizioni mentali di Joe Biden escono dal gossip, che da tempo sguazza nelle gaffe del presidente, e diventano problema politico. Il procuratore speciale Robert Hur, che ha indagato sulle accuse a Biden di aver divulgato segreti militari, ha scritto nel suo rapporto che il presidente va assolto, ma lo ha dipinto come «un uomo anziano con poca memoria» e i cui racconti sono zeppi di contraddizioni, inesattezze e amnesie. Tanto è bastato per innescare la richiesta da parte di senatori repubblicani di accedere al 25esimo emendamento della Costituzione americana, quello che regola la decadenza del presidente in caso di sopraggiunta incapacità di esercitare appieno il mandato.
Il problema, come ovvio, non riguarda solo l'America ma il mondo intero, oggi alle prese con uno scontro militare ed economico tra Occidente e Oriente senza precedenti che, per essere gestito, necessita di una salda guida dell'America. Ma risolvere il caso Biden è tutt'altro che semplice, perché il presidente si trova prigioniero di una concomitanza di situazioni che lo inchiodano dove è, al di là delle sue reali condizioni di salute: non è pensabile che si dimetta (o venga destituito) perché Kamala Harris è il vicepresidente più impopolare nella storia degli Stati Uniti, secondo un recente sondaggio della rete Nbc, e la più inetta, secondo la maggior parte degli osservatori; non può ritirarsi dalla corsa elettorale (in America si voterà a novembre) perché secondo tutti gli analisti è lui l'unico candidato democratico che ha qualche possibilità di poter fermare la corsa alla Casa Bianca di Donald Trump.
Tra un presidente smemorato (Biden), una incapace (la Harris) e uno chiacchierato (secondo alcuni pure pericoloso) come Trump l'attuale establishment di Washington non ha dubbi: teniamoci il primo e poi si vedrà. Certo, che la democrazia americana non sia in grado di mettere in campo candidati sani e credibili per guidare il Paese non è un bel segno.
Non lo è per l'America, ma neppure per l'Occidente, visto che dall'altra parte della barricata, da Xi a Putin, i leader appaiono forti e determinati a sfruttare a loro favore ogni debolezza del gigante americano per mutare l'ordine e l'equilibrio mondiale.
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