Saremo tutti tracciati con la tecnologia bluetooth. L’Italia, tra i Paesi al mondo con più telefoni cellulari attivi, elabora un modello di tracciamento per i malati di coronavirus. Si tratta di un modo innovativo per stanare i contagiati. E permettere a chi malato non è di stare alla larga dal Covid-19. Il governo dovrà fare tutto questo garantendo il rispetto della riservatezza dei sui cittadini anche in un periodo di grave emergenza. A parlare di questo tipo di sviluppo è Antonello Soro, presidente dell’autorità garante per la privacy, nel corso di un’audizione in commissione Trasporti alla Camera.
All’ordine del giorno, l’uso delle nuove tecnologie a fini di contenimento del virus. Soro dice: "Per il contact tracing dovremmo ritenere anzitutto preferibile la misura più selettiva che garantisca, cioè, il minor ricorso possibile a dati identificativi, sia in fase di raccolta sia in fase di conservazione". In tal senso, spiega Soro, ai fini della raccolta, potrà essere utilizzato il bluetooth. "Restituendo dati su interazioni più strette di quelle individuabili in celle telefoniche, assai più ampie, parrebbe migliore nel selezionare i possibili contagiati all’interno di un campione più attendibile perché, appunto, limitato ai contatti significativi".
Per il cosiddetto contact tracing "va preferito il ricorso a sistemi fondati sulla volontaria adesione dei singoli che consentano il tracciamento della propria posizione". La volontaria attivazione di un’app funzionale alla raccolta dei dati sull’interazione dei dispositivi ben potrebbe rappresentare il presupposto di uno schema normativo fondato su esigenze di sanità pubblica, attraverso ipotesi normativamente definite anche in termini di garanzie degli interessati.
La tutela dei dati personali sarebbe, dunque, al centro delle esigenze messe in campo dal governo in un periodo difficile in cui le libertà personali sono già messe a dura prova. "La conservazione dei dati di contatto, da parte del server, dovrebbe limitarsi al tempo strettamente indispensabile alla rilevazione dei potenziali contagiati", sottolinea. "In particolare - ricorda Soro - sarebbero apprezzabili quelle tecnologie che mantengono il diario dei contatti esclusivamente nella disponibilità dell’utente, sul suo dispositivo, ragionevolmente per il solo periodo massimo di potenziale incubazione".
Ecco come dovrebbe funzionare in pratica tutta la faccenda. Il soggetto che risultasse positivo dovrebbe fornire l’identificativo Imei del proprio dispositivo all’Asl. Questa sarebbe poi tenuta a trasmetterlo al server centrale per consentirgli così di ricostruire, tramite un calcolo algoritmico, i contatti tenuti con altri soggetti i quali si siano, parimenti, avvalsi dell’app bluetooth. Questi ultimi riceverebbero poi una segnalazione (nella forma di un alert sul sistema) di potenziale contagio, con l’invito a sottoporsi ad accertamenti.
"In tal modo, prosegue il garante, il tracciamento sarebbe affidato a un flusso di dati pseudonimizzati, suscettibili di reidentificazione solo in caso di rilevata positività. Anche in tali casi, comunque, la stessa comunicazione tra server centrale e app dei potenziali contagiati avverrebbe senza consentirne la reidentificazione, così minimizzando l’impatto della misura sulla privacy individuale". In alternativa all’alert intra-app si potrebbe ipotizzare che sia direttamente l’Asl ad avvisare e, quindi, sottoporre ad accertamento i soggetti i quali, dalle rilevazioni bluetooth, risultino essere entrati in contatto significativo con il soggetto positivo.
Poi Soro continua a parlare, spiegando che bisogna limitare al massimo l’esposizione degli individui a questo tipo di dati. La privacy deve rimanere al centro dei diritti dei cittadini.
Il rischio che bisogna esorcizzare è quello dello scivolamento inconsapevole dal modello coreano a quello cinese, scambiando la rinuncia a ogni libertà per l’efficienza e la delega cieca all’algoritmo. La soluzione passa dallo Stato di diritto. Elemento a cui non si deve rinunciare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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