È una delle pagine meno conosciute, anche in Iran, della storia recente del paese mediorientale. Risale ad un periodo tra i più delicati per Teheran: è l’estate del 1988, la guerra con l’Iraq è agli sgoccioli, il paese è allo stremo ed ha subito anche l’attacco del Mek, l’organizzazione dei Mojahedin dell’Iran.
Membri di questa fazione, da sempre contrari al sistema sorto dopo la rivoluzione di Khomeini, avevano base proprio nel sud dell’Iraq e da lì hanno attaccato le forze iraniane. Una situazione incandescente che avrebbe spinto lo stesso Ayatollah ad usare la mano dura contro sia il Mek che altre sigle anti rivoluzionarie.
Sarebbe nato così il massacro di prigionieri politici perpetuato in quell’estate del 1988. Di certo però, non c’è ancora nulla: a parlarne in questi anni sono stati diversi gruppi dell’opposizione iraniana, che ovviamente hanno tutto l’interesse a mettere in cattiva luce Teheran. Dal canto loro, le autorità iraniane attuali negano l’esistenza di un piano sistematico volto ad uccidere migliaia di prigionieri, ma qualcosa comunque in quel 1988 è accaduto. Ci sono diverse testimonianze raccolte da alcune associazioni internazionali, a partire da Amnesty. E c’è il caso di Hussein-Ali Montazeri, uno dei leader della rivoluzione iraniana del 1979 e designato erede di Khomeini fino a quando però le sue critiche alle scelte operate nella fase finale della guerra con l’Iraq hanno incrinato il rapporto con la Guida Suprema.
Una svolta per comprendere appieno cosa è accaduto e l’entità di un massacro che, se definitivamente provato, potrebbe aver avuto importanti proporzioni, è arrivata nelle scorse ore. Ed in qualche modo sta coinvolgendo anche l’Italia.
A Stoccolma infatti è stato fermato un cittadino identificato come Hamid Noury. Si stava imbarcando per la Germania, le autorità svedesi lo hanno fermato su indicazione di Iraj Mesdaghi, un oppositore iraniano che vive proprio nella capitale svedese. Quest’ultimo avrebbe raccolto prove che testimonierebbero che in realtà Hamid Noury è Hamid Abbasi.
Il suo nome, tra chi da anni prova a ricostruire i fatti del 1988, è ben noto: si tratterebbe di uno dei boia più spietati che avrebbe eseguito un gran numero di esecuzioni all’interno delle carceri. C’è chi sostiene che era proprio lui ad ordinare chi doveva vivere e chi morire. Di Abbasi si erano perse le tracce da tempo, anche in Iran. La sua cattura potrebbe aprire molte maglie per accertare quanto accaduto 31 anni fa. L’ambasciata di Teheran a Stoccolma si sta muovendo per comprendere al meglio la situazione, anche perché occorre prima accertarsi (e c’è tempo fino a giorno 11 dicembre) che Noury sia realmente Abbasi.
C’è un dettaglio però emerso nelle ore successive all’arresto: tra i documenti ritrovati all’uomo sospettato di essere tra i boia
del 1988, c’è anche un visto italiano. Un permesso valevole per un anno, secondo alcune fonti diplomatiche. Una circostanza su cui adesso si concentreranno le attenzioni anche degli investigatori italiani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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