Ci voleva il prezzo della benzina alle stelle per renderci consapevoli che siamo in guerra. E magari pure le parole di Vladimir Putin per ricordarci che non stiamo combattendo con i fucili, i carri armati, le bombe, come gli ucraini, ma con le sanzioni economiche, che sono pur sempre armi a doppio taglio che fanno vittime pure da noi. Basta parlare con le organizzazioni dei pescatori e degli autotrasportatori a cui non tornano più i conti per il caro gasolio. Solo che come a Kiev lo Stato si prodiga per difendere, per quel che può, il popolo dall'esercito russo, anche da noi il governo si deve porre il problema di salvaguardare chi rischia di lasciarci le penne dal punto di vista economico. E l'intervento sul costo della benzina è indispensabile, obbligato, visto che in questo momento è il principale fattore dell'aumento dell'inflazione.
Soprattutto, non si può andare in trincea con i meccanismi, per molti versi irrazionali, che da noi determinano il prezzo del carburante. Basta dare un'occhiata per restare basiti. Al prezzo all'origine, infatti, bisogna aggiungere le accise che contribuiscono per il 40% del costo finale. Si tratta di 19 tasse contenute alla voce «imposta di fabbricazione» alcune delle quali risalgono addirittura agli anni '30: si parte dalla guerra in Etiopia (1935) per passare alla crisi del canale di Suez (1956), per proseguire con il crollo della diga del Vajont (1963), l'alluvione di Firenze (1966), una serie di terremoti, cioè Belice (1968), Friuli (1970), Irpinia (1980), di missioni Onu, dal Libano alla Bosnia, e ancora, ancora, ancora. Sono imposte con cui lo Stato ha fatto fronte ad una serie di emergenze che si sono protratte nel tempo fino a diventare eterne.
Non basta. Poi, sulla somma del costo del carburante e delle accise, lo Stato calcola il 22% d'Iva. Per entrare nel dettaglio, prendiamo il caso che, dopo gli ultimi aumenti, la benzina sia arrivata a costare 2 euro e venti centesimi al litro: ebbene, il costo della materia prima è di euro 1,074 a cui vanno aggiunte le accise, che ammontano a euro 0,728 e, sulla somma di queste voci, va poi calcolata l'Iva. Per cui, alla fine, le tasse ammontano a euro 1,124 e rappresentano il 51% del costo alla pompa. Insomma, rispetto all'origine, il prezzo raddoppia.
Ora è evidente che se in una condizione normale e a prezzi normali il cittadino si abitua ad un meccanismo così assurdo (e non è giusto rispetto agli abitanti di altri Paesi), in un conflitto dove l'aumento del carburante non è solo una conseguenza della crisi ma addirittura un'arma, la situazione diventa insostenibile. È come se si andasse alla guerra economica non con il giubbotto anti-proiettile, ma con la spirale che indica il bersaglio stampata sul petto.
Motivo per cui il governo non può far finta di niente. Deve rivedere la struttura del costo del carburante o riducendo le accise o intervenendo sull'Iva.
Ieri il governo irlandese, altro Paese coinvolto nel conflitto economico con Putin, ha annunciato un taglio temporaneo proprio delle accise su benzina e diesel. Una decisione di buonsenso che il nostro governo farebbe bene ad adottare, per evitare che i cittadini diventino carne da macello e, soprattutto, di perdere la guerra.
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