"Sia fatta la mia volontà". Finché non salta fuori il parente di terzo grado o il conoscente (mai visto prima) dalla Patagonia che rivendica il diritto all'eredità. E a quel punto sono rogne e cavoli amari per "i vivi" che si danno battaglia. Per ottemperare al boom dei testamenti impugnati - pare che il numero dei conteziosi per l'eredità se la giochi con quello dei divorzi - Nadia Bolognini e Stefano Zago, altrimenti noti come i "dective delle ultime volontà", hanno elaborato un metodo di indagine per far fronte anche ai casi più complicati. Con buona pace del defunto.
Il boom dei testamenti impugnati
Tutti conoscenti "alla lontana" finché c'è da assitere il povero nonno malato o la zia anziana. Ma poi, quando c'è da spartirsi la quota per l'eredità, gli aspiranti parenti pullulano come funghi: badanti, ex compagni della scuola materna e persino nipoti acquisiti nella fantasia. Che si tratti di un attico con affaccio sulla Fontana di Trevi o dell'abat jour da comodino, poco importa: di mollare la presa neanche a parlarne. E così, ci si trascina in tribunale - con tanto di testamento alla mano, magari risalente al secolo scorso - nel tentativo di trovare il cavillo per contestare le ultime volontà espresse dal parente passato a miglior vita. "In questo periodo il tema è caldissimo, i contenziosi sono aumentati. Nella maggior parte dei casi si pensa che basti un'etichetta diagnostica ad annullare o meno il testamento - spiega Nadia Bolognini, docente di Psicobiologia e Psicologia fisiologica all'università di Milano-Bicocca e direttore scientifico del laboratorio di Neuropsicologia dell'Istituto Auxologico Italiano, alle pagine del quotidiano Il Giorno - ma il declino cognitivo con l'invecchiamento è fisiologico e anche di fronte a un principio di Alzheimer non è detto che la persona non avesse più la capacità di decidere su come disporre dei suoi beni futuri. Magari non ricorda cosa ha mangiato il giorno prima, ma sa bene di avere divorziato dalla prima moglie e che i figli non si sono mai voluti occupare di lui". Domanda: come si fa a stabilire se il parente defunto fosse lucido quando ha formalizzato le sue ultime volontà? Ecco che scatta l'indagine dei detective.
Il metodo d'indagine
Il metodo elaborato dai due studiosi - il professor Stefano Zago, che lavora gomito a gomito con la Bolognini, è neuropsicologo clinico e forense e dirigente psicologo di primo livello al Policlinico di Milano - prevede una ricostruzione a ritroso delle abitudini del familiare morto. E così, si va a caccia di indizi nei vecchi filmini dei compleanni o nelle lettere scritte, per cogliere quei segnali che possano accertare la capacità di intendere e volere del defunto. "Perché se vado a chiedere a uno dei beneficiari il contesto famigliare, mi dirà quello che conviene di più. - continua la docente della Bicocca - Davanti a scelte che possono apparire assurde, come quella di lasciare tutto al proprio gatto, c'è la tendenza a dire che è 'colpa' della malattia di cui la signora o il signore era affetto - ricorda l'esperta -.Ma invece può essere ragionevole se si scopre che le basi neurali funzionavano benissimo e che nella vita l'uomo in questione era stato abbandonato da tutti tranne che dai suoi dieci felini. Ci serve una metodologia, non dobbiamo entrare nel merito delle scelte, ma rispettarle".
Bolognini e Zago - pionieri del nuovo metodo d'indagine - procedono con l'autopsia neuropsicologica per "cogliere elementi che ci facciano capire il funzionamento della memoria, la capacità di pianificazione, il tutto contestualizzando persone e decisioni".
I due esperti vengo ingaggiati in qualità di consulenti tecnici anche nei casi di revoca dell'amministratore di sostegno a un imprenditore. E c'è persino chi li interpella per una perizia psicologica prima di passare a miglior vita. "Nel pieno possesso delle mie facoltà mentali", meglio farselo dire da un detective.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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