"Spedito a Milano per interessi economici del clan". Così agiva il fidanzato di Silvia Provvedi

Per gli investigatori della Polizia, il compagno di Silvia Provvedi avrebbe fatto leva suo suo ruolo di spicco all'interno dell'omonima famiglia calabrese per ottenere denaro da un imprenditore reggino, ma la somma non sarebbe stata divisa con altre famiglie, costringendo i De Stefano a mandare Giorgio a Milano

"Spedito a Milano per interessi economici del clan". Così agiva il fidanzato di Silvia Provvedi

Si arricchisce di dettagli la maxi operazione antimafia "Malefix", che ha portato all'arresto di ventuno esponenti di famiglie calabresi legate alla 'ndrangheta, tra i quali spicca anche il nome di Giorgio De Stefano, figlio illegittimo del boss Don Paolino, nonché compagno di Silvia Provvedi e padre della loro figlia Nicole, nata da pochi giorni.

Secondo le ricostruzioni effettuate dagli investigatori della polizia nell'operazione denominata "Malefix" (contro le cosche della 'ndrangheta De Stefano-Tegano e Libri attive nella città di Reggio Calabria) Giorgio De Stefano, durante le festività natalizie del 2017, avrebbe ostentato "il suo ruolo apicale all'interno della consorteria di famiglia e - minacciando gravi ripercussioni alla vittima - aveva costretto un imprenditore reggino titolare di alcuni locali di intrattenimento ed esercizi di ristorazione a pagare un pizzo". Dall'uomo si sarebbe fatto consegnare "un'imprecisata somma di denaro, che poi è stata trattenuta dal fratello Carmine De Stefano". Una somma cospicua che doveva essere divisa tra le quattro famiglie di 'ndrangheta operanti nel centro cittadino De Stefano, Tegano, Libri e Condello ma così non è stato.

Un fatto che sarebbe "costato caro" a Giorgio De Stefano che - secondo le dichiarazioni di un pentito - sarebbe stato mandato dalla famiglia a Milano, lontano dalla Calabria, per amministrare gli interessi della 'ndrina, una cosca malavitosa collegata alla 'ndrangheta e gestita in esclusiva dai De Stefano. "Aveva fatto troppo bordello nei locali, lo hanno spedito a Milano. Lo vidi con mazzetti da 500 euro e gli dissi: "Le stampi?", avrebbe dichiarato agli inquirenti il pentito.

Dalle indagini coordinate dalla Dda di Reggio Calabria è emerso come le frequentazioni e le relazioni del 38enne Giorgio De Stefano poco si conciliassero con la discrezione imposta agli esponenti apicali delle cosche. A sottolinearlo è un collaboratore di giustizia che nel riportare i commenti di alcuni "ndranghetisti storic" afferma che il comportamento del 38enne veniva definito "pericoloso - si legge nell'ordinanza di custodia cautelare dell'operazione Malefix - per la sua eccessiva mondanità e per i rischi di sovraesposizione per tutta la cosca cagionati dal suo comportamento irrazionale, dalla sua costante presenza nella movida reggina".

"Per Zappia andava sciolto solamente nell'acido. Era tutto con quei capelli raffinati - afferma il pentito a quanto riportato nell'ordinanza - se ne andava per i locali a fare bordello, litigi con le persone, alle 5 le 6 di mattina è ancora in giro" facendo riferimento alle risse che ne scaturivano e che creavano problemi coinvolgendo la cosca per dirimere le problematiche innescate. Per questo motivo il clan all'epoca capeggiato da Enzo Zappia e Giovanni De Stefano aveva deciso di rimandare a Milano Giorgio De Stefano. L'obiettivo era duplice nella città lombarda "Giorgino" avrebbe potuto "amministrare gli interessi economici" che in quell'area coltivava il clan e allo stesso tempo sarebbe stato lontano dagli ambienti calabresi, dove ancora non era in grado di muoversi con la dovuta riservatezza.

Attriti tra "famiglie", un'estorsione non divisa tra clan ha fatto finire nel mirino Giorgio De Stefano

Mentre gli investigatori stanno eseguendo perquisizioni e sequestri di aziende coinvolte nella vicenda, emergono i pesanti attriti che si sarebbero innescati tra due gruppi criminali, che portavano avanti da anni il racket locale. In base a quanto avvenuto a Natale di tre anni fa, il clan De Stefano avrebbe ignorato gli accordi secondo i quali i proventi dovevano essere divisi tra le ‘ndrine di riferimento sul territorio. A scoprire la mancata ridistribuzione del pizzo, Antonio Libri, che aveva assunto le redini dell’omonima cosca dopo l’arresto dei capi.

Il boss aveva informato Orazio Maria De Stefano e altri esponenti della famiglia De Stefano, convocando un summit per definire le nuove modalità estorsive. Un appuntamento monitorato da vicino dalla polizia e che ha portato ai ventuno arresti.

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