Che cosa c'è di più trasparente di un'Offerta pubblica di acquisto in un'arena finanziaria? Domanda oziosa, si dirà. Eppure Francesco Giavazzi, docente di economia e gran ciambellano di Palazzo Chigi al tempo del governo Draghi, protagonista di scelte assai dubbie soprattutto in materia di nomine, non esita a gettare discredito sull'Offerta di acquisto lanciata da Mps su Mediobanca, insinuando manipolazioni che non hanno motivo trattandosi di un'operazione alla luce del sole per definizione. Più trasparenza andrebbe invece chiesta a Mediobanca, la cui caratteristica prima non è certo la limpidezza, che nella nota diffusa ieri definisce la proposta del Monte di Siena «ostile e dunque distruttiva di valore per Mediobanca». Una reazione così arrogante non si era mai vista nell'ambito di un'Opa, tanto da far pensare che dietro il disprezzo - di fatto esteso anche ai grandi azionisti che figurano in entrambe le società - alberghi una volontà di risposta che vorrebbe tradursi in una contro-Opa organizzata con qualche soggetto internazionale tra i non pochi beneficiati dalla sua benevolenza munifica. D'altro canto la partita è epocale: non si tratta di dare vita solo al terzo polo bancario, irrobustendo due realtà che hanno molto da mettere in comune; si tratta di porre fine a un sistema che per decenni ha giocato a Monopoli con i pezzi pregiati dell'economia italiana, dall'energia alla chimica, dall'auto all'acciaio, dalle telecomunicazioni alle assicurazioni, fino alle privatizzazioni delle banche nazionali con grande dispendio di risorse pubbliche e in spregio al mercato. Tra l'altro, con risultati non sempre apprezzabili, anzi provocando talvolta ferite che ancora non sono rimarginate.
Quanto poi alle osservazioni di cui abbonda la nota di Piazzetta Cuccia, dalla quale emerge un quadro a dir poco idilliaco delle attività dell'istituto (e del quale diamo conto nelle pagine di Economia), preferiamo una lettura diretta del suo bilancio, non influenzati dalle opinioni di analisti a contratto di cui spesso si serve l'istituto.
Perciò, fidandoci del nostro intuito abbiamo messo a nudo alcuni elementi degli ultimi bilanci della banca milanese, che aiutano a comprendere quanto l'aggregazione con Mps è necessaria nello stesso interesse dell'istituto milanese. Scopriamo così che fatto 100 l'utile netto, il 19% circa proviene dall'attività di investment banking (l'attività caratteristica) che si aggiunge il 16% prodotto dai servizi alla gestione del risparmio, sicché l'attività core rappresenta insieme il 35% dell'utile. A fianco abbiamo il cosiddetto consumer finance di Compass (prestiti di piccolo cabotaggio) che a sua volta genera il 25-30% dell'utile, mentre il resto, vale a dire il 40% circa, deriva dal dividendo che ogni anno viene distribuito dalle Generali (Mediobanca ne possiede il 13,1%). Se poi entriamo nel merito delle altre voci, scopriamo che mentre l'attività core produce il 47% dei ricavi totali, i costi per sostenerla rappresentano il 65% del totale. In altre parole, l'attività core di Mediobanca copre sostanzialmente i suoi costi, mentre le spese sono finanziate dai dividendi che provengono dalle Generali. E sarebbe questo un modello di business sostenibile? Via, non scherziamo. Forse sostenibile per il top management, che ogni anno si autoassegna bonus milionari pur non avendone titolo: ma che meriti hanno quei signori nella generazione di quel 40% dell'utile generosamente elargito dalle Generali?
Quanto poi ai livelli di efficienza della gestione delle attività caratteristiche, cui si fa ampio riferimento nella nota di ieri, dall'analisi dei numeri emerge che nell'ultimo triennio si è verificato un peggioramento sostanziale; mentre merita di essere segnalata la modesta crescita negli utili di Compass, resa appena accettabile grazie ai folli interessi (complice il gran balzo dei tassi) applicati ai mini-prestiti al consumo. Basti osservare che a fronte di un aumento di 21 milioni delle commissioni, la società ha registrato un incremento di 55 milioni dei costi ed è stata costretta a subire 60 milioni in rettifiche sui crediti.
Tali modesti risultati sono la dimostrazione che l'attività retail mal si concilia con la cultura del banchiere in doppiopetto di cui si fa da sempre vanto il mondo Mediobanca: se il Monte potesse agganciare Compass a tutta la sua rete, probabilmente vedremmmo ben altri risultati e magari ciò potrebbe anche servire come trampolino per internazionalizzare il servizio. In ogni caso, è la prova di quanto ancora sia valido il modo di dire in dialetto milanese Ofelè fa el to mesté!
E poi c'è il capitolo CheBanca. Il fatto che abbia cambiato il brand in Mediobanca Premier è la prova che non ha funzionato. Invece, messa insieme Banca Widiba, lo sportello digitale del gruppo Mps, subito potrebbe contare su una rete di 1.200 consulenti finanziari, capace di competere alla pari con un avversario della forza di FinecoBank. Insomma, è talmente ampia la gamma di offerta che si avrebbe mettendo insieme Mps e Mediobanca, che non si può non apprezzare lo scopo della grande operazione industriale proposta da Siena, che non a caso è condivisa anche da imprenditori-azionisti di Mediobanca come Romano Minozzi. In cosiderazione anche del fatto che è un progetto a impatto sociale zero: nessuna filiale verrebbe chiusa, nessun dipendente andrebbe a casa, mentre le attività caratteristiche di Mediobanca avrebbero modo di esprimersi al meglio non appesantite da una attività, quella commerciale, che è lungi dalle tradizioni dell'istituto.
Infine il dogma della dimensione: Mps è più piccola, osservano da Piazzetta Cuccia, dunque non può scalarci perché siamo più grandi. Ma più grandi in che senso? Se il metro è quello dell'attività bancaria, il Monte vanta il 50% in più degli impieghi, il 50% in più della raccolta diretta e il 50% in più della raccolta indiretta: insomma, 186 miliardi contro 125, mentre gli impieghi sono 76 miliardi contro 52.
Se il metro è invece la valutazione di Borsa, è pur vero che l'istituto guidato da Alberto Nagel vale attorno a 13 miliardi e quello guidato da Luigi Lovaglio si ferma a 8, ma è evidente a chiunque che la carica di potenziale rivalutazione di Mps è di gran lunga superiore. Soprattutto a fusione avvenuta.
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