Simboli di un cambio di stagione: si dissolve nell'opinione pubblica il grillismo, malattia infantile del giustizialismo, e quei magistrati, o ex-magistrati, che ne sono stati gli eroi finiscono sul banco degli imputati. Piercamillo Davigo, l'inventore del teorema per cui i politici sono «solo colpevoli non ancora scoperti», e Fabio De Pasquale, che ha nel suo curriculum indagini dallo spiccato spirito giacobino, da inquisitori hanno cambiato ruolo nel processo e si sono trasformati in accusati: il primo per aver diffuso degli atti giudiziari secretati; il secondo per aver negato alla difesa nel processo Eni-Nigeria delle prove a discolpa degli imputati.
Qualche anno fa sarebbe stato impensabile, ma le fasi politiche cambiano in fretta. Solo che chi spera in un sistema giudiziario «giusto», chi è mosso da un sincero spirito garantista non dovrebbe festeggiare perché gli ultimi eredi di Robespierre hanno preso la strada del patibolo come il loro predecessore. Si commetterebbe un grave errore ad affidarsi, infatti, agli umori dell'opinione pubblica che sono di per sé cangianti. Semmai si dovrebbe approfittare del momento per creare degli anticorpi nel nostro sistema istituzionale che evitino il riaffermarsi di una filosofia giustizialista. O, almeno, per riesumare delle garanzie che, nel furore dell'assalto al Palazzo, sono state cancellate in passato. Più o meno quello che avvenne in Francia quando si passò dal Terrore al Termidoro.
Ad esempio, sull'onda di Tangentopoli, quando i giorni erano cadenzati dagli avvisi di garanzia, su impulso dei vari Davigo, il Parlamento di allora abolì, per paura, un istituto, l'immunità parlamentare (ne è rimasto solo un surrogato), che serviva, nella mente dei nostri padri Costituenti, proprio per evitare le incursioni del Potere giudiziario sul Potere politico (il fenomeno che ha caratterizzato trent'anni di Storia patria). Era una sorta di camera di compensazione inventata nella logica dei pesi e contrappesi da personaggi del calibro di un giurista democristiano come Costantino Mortati, di un esponente del Pci come Umberto Terracini e di un fondatore del Partito d'Azione come Piero Calamandrei, per bilanciare il principio dell'autonomia della magistratura. Ora, nessuno vuole approfittare della crisi profonda che attraversa il potere giudiziario, con illustri magistrati che si indagano l'un l'altro o inchieste che nascono alla vigilia di un'elezione e muoiono il giorno dopo solo per condizionarne l'esito (vedi l'affaire Morisi), per minarne l'autonomia. Giammai.
Solo che sarebbe il caso di ripristinare nella sua interezza la nostra tanto decantata Costituzione, che prevedeva, appunto, pure l'immunità, per porre nella nostra Storia un punto e a capo e dare la possibilità al Parlamento di decidere anche in temi di giustizia senza essere condizionato dalle «solite» incursioni. Sarebbe il primo passo per aprire la strada ad una profonda riforma della giustizia, non i palliativi della Cartabia, senza aspettare che sia il popolo attraverso i referendum a farsi carico dei doveri del legislatore.
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