Migranti, dopo anni di scandali il Cara di Mineo chiude definitivamente

Il ministro dell'interno Matteo Salvini annuncia la chiusura entro il prossimo mese del Cara di Mineo, il più grande centro d'accoglienza d'Europa

Migranti, dopo anni di scandali il Cara di Mineo chiude definitivamente

Negli anni ’80 gli echi degli ultimi rantoli della guerra fredda arrivano anche nelle campagne della profonda provincia siciliana, in quei territori che dalla provincia di Catania si diradano poi verso gli Iblei ed il Mediterraneo.

Qui arrivano le testate nucleari ospitate presso la base di Comiso, con annesse proteste e manifestazioni che infiammano la Sicilia orientale, poco più a nord nel 1985 ha luogo a Sigonella una delle notti più lunghe dell’Italia repubblicana, quella dove i Carabinieri circondano le forze statunitensi per prendere in consegna i dirottatori della nave Achille Lauro. È in questo periodo che viene progettato un residence per i militari presenti in questo angolo dell’isola: si sceglie, in particolare, un grande appezzamento di terreno all’interno del comune di Mineo, un punto logistico favorevole ai bordi della statale che collega Caltagirone con Catania e dunque raggiungibile facilmente sia da Sigonella che dal capoluogo etneo.

Nasce così il “Residence degli aranci”, i cui lavori però partono solo nel 1997 e risultano affidati alla ditta Pizzarotti. Si tratta di un vero e proprio villaggio nel cuore della campagna siciliana: al suo interno non solo alloggi, ma anche supermercati e strutture sportive, tutto adatto per ospitare intere famiglie. Gli americani alloggiano qui per quasi un decennio, ma nel frattempo la guerra fredda finisce, vengono tolte le testate nucleari da Comiso, le esigenze abitative per i soldati si fanno meno stringenti ed in tanti iniziano a vivere in abitazioni a ridosso della base di Sigonella.

Per cui a poco a poco i marines e le loro famiglie lasciano il residence degli aranci e nel 2010 il governo statunitense annuncia l’intenzione di non rinnovare il contratto di locazione, che scade nell’aprile dell’anno successivo. Ed è a questo punto che questo territorio della campagna siciliana si intreccia con un altro evento storico: proprio all’inizio del 2011 il nord Africa inizia a vivere uno dei momenti più difficili, scoppiano le primavere arabe e Lampedusa e la Sicilia sono preda di una grave emergenza migratoria.

Il Viminale cerca allora una struttura idonea per raccogliere quanti più migranti possibili, in un articolo del 15 febbraio 2011 apparso su LiveSicilia.it, si legge come da Roma avrebbero individuato proprio il residence degli aranci, oramai vuoto. Da adesso in poi, questa struttura diventa nota come “Cara di Mineo”. Inizia un’esperienza tipicamente siciliana, classica cioè di un’isola che sembra dover scegliere sempre tra buon senso e necessità.

Da un lato il Cara riversa in uno spazio di 18.000 ettari anche fino a 4.000 migranti, con tutti i problemi connessi relativi alla sicurezza ed alla convivenza con una situazione del genere, dall’altro però la struttura garantisce 400 posti di lavoro, ossigeno per un territorio dall’economia in affanno. Una vera e propria industria, l’unica di questa parte della provincia siciliana. Per gli abitanti di Mineo e dei comuni limitrofi, sapere di avere accanto casa il centro d’accoglienza più grande d’Europa è motivo di vero e proprio incubo, ma al tempo stesso sollievo. Si crea un indotto che manda in secondo piano a volte gli episodi di cronaca connessi all’attività del centro.

Negli anni i cittadini di questa parte della Sicilia assistono a barricate sulla statale limitrofa al centro da parte dei richiedenti asilo, proteste e sassaiole, oltre che disagi e numerosi episodi di cronaca. Nel 2015 a Palagonia, paese vicino Mineo, due coniugi vengono brutalmente uccisi: si tratta di un tentativo di rapina, poco dopo si scopre che a compiere il gesto è stato un ospite del Cara. Quello è forse l’episodio di cronaca più noto che riguarda la struttura, anche perché è il più violento: i due anziani coniugi vengono malmenati brutalmente all’interno della loro abitazione, da quel momento i residenti della zona iniziano a chiedere maggiori controlli e maggiore sicurezza.

Non solo però episodi di cronaca, anche inchieste giudiziarie che evidenziano come l’accoglienza all’interno del Cara è un fatto di business che fa gola alla politica: la struttura è al centro di indagini quale quelle di “mafia capitale”, tra voti di scambio e favori connessi all’assunzione di persone all’interno del Cara. Inchieste romane, così come catanesi e della procura di Caltagirone: viene a galla un sistema ruotante attorno alla struttura del residence degli aranci. Un filone di inchiesta a Catania, mostra come ad un certo punto per lavorare dentro il Cara occorre dimostrarsi simpatizzanti dell’Ncd, il partito dell’allora ministro Angelino Alfano.

Più di recente, altre indagini svelano anche il mondo all’interno della struttura: qui, tra le centinaia di migranti ospitati, emerge il ruolo della mafia nigeriana, che fa del Cara di Mineo un vero e proprio hub dello spaccio e della prostituzione. Ma non solo: si dimostra come la convivenza tra gli stessi migranti originari di diverse etnie appaia molto difficile e dà luogo a violenze ed azioni di cronaca.

Un primo ridimensionamento del Cara si ha sul finire del 2017, quando al Viminale siede Marco Minniti e gli sbarchi dalla Libia sono sì numerosi ma meno intensi: il centro non ha più, da allora in poi, la capienza di 4.000 ospiti come negli anni delle emergenze. Iniziano quindi a calare anche i dipendenti, con i sindacati sul piede di guerra. Con l’avvento al ministero dell’interno di Matteo Salvini, il Cara viene inserito nella lista dei centri da chiudere il prima possibile. Il leader leghista fa della struttura il proprio cavallo di battaglia.

Con il crollo degli approdi dal nord Africa, gli ospiti scendono sotto le 1.500 unità, poi ad inizio anno si avviano i trasferimenti verso strutture più piccole dei vari ospiti. Adesso l’annuncio dello stesso Salvini: “Entro il mese di luglio il Cara chiuderà”. Del resto, nel decreto sicurezza uno dei punti più importanti riguarda proprio la chiusura dei Cara: il primo è stato quello di Castelnuovo di Porto, in provincia di Roma, adesso secondo il titolare del Viminale tocca alla struttura di Mineo.

Finisce dunque una tribolata storia, una vicenda che per anni tiene sotto scacco un intero territorio e che mostra ancora una volta le falle della politica di accoglienza basata sulla creazione di grandi hub, dove l’integrazione appare impossibile e dove, al contrario, a svilupparsi è la criminalità e l’interesse dei potentati locali.

Nelle scorse settimane il sindaco di Mineo, Giuseppe Mistretta, chiede però al governo maggiore attenzione: “Abbiamo pagato un sacrificio molto alto in questi anni – si legge in una nota riportata dall’AdnKronos – Chiediamo allo Stato di non abbandonarci”.

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