Nella partita delle nomine i Cinque Stelle hanno perso tre volte. Nella loro prima stagione governativa il Movimento ha fallito l'unico obiettivo dichiarato nella tornata dei rinnovi dei vertici dei grandi gruppi pubblici. E cioè quello di incidere sulle nomine dal lato deontologico delle candidature. In compenso, ed è la seconda sconfitta, il Movimento si è fatto volentieri risucchiare nel più logoro dei giochi della politica: la lottizzazione delle poltrone. E purtuttavia (ed è il terzo fiasco) non è riuscito a portare a casa granché.
Andiamo per ordine. Il primo punto era - e dovrebbe ancora essere - una questione identitaria: puntare in ogni circostanza possibile (tanto nella scelta dei rappresentanti politici degli italiani, quanto in quella dei loro governanti o dei manager pubblici) a curriculum d'eccellenza dal lato professionale e di cristallina purezza da quello giudiziario. Il che, calato nella partita delle nomine, significava respingere con forza e sdegno quelle che non rispettavano tali caratteristiche. In questa chiave l'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi, era diventato un simbolo a cui impedire a ogni costo il terzo mandato. Il manager Eni è coinvolto in un procedimento di corruzione internazionale e indagato per conflitto d'interessi. Due questioni per le quali Descalzi si è sempre dichiarato estraneo. Anche Alessandro Profumo, ad di Leonardo, ha un procedimento giudiziario aperto (processo a Milano per falso in bilancio sui derivati Mps). Ma alla fine della lunga trattativa, i colonnelli della politica economica grillina (da Di Maio a Buffagni a Fraccaro) hanno accettato le conferme di tutti i manager di maggior peso, nominati nel 2014 da Renzi o nel 2017 da Gentiloni: a cominciare da Descalzi all'Eni e da Profumo a Leonardo (ma anche Matteo Del Fante alle Poste e Francesco Starace all'Enel). Un esito che i Cinque Stelle hanno però barattato con una sfilza di altre poltrone (minori) in cambio: la guida di Terna per Stefano Donnarumma, quella dell'Enav per Paolo Simioni e di Mps per Guido Bastiniani. Più qualche presidenza, carica che per gli statuti delle partecipate è priva di deleghe operative. E c'è di più: nello spedire a Terna il capo di Acea (Donnarumma) e a Enav quello dell'Atac (Simioni), i 5 Stelle si sono assicurati la designazione di altre due poltrone, questa volta romane, prima della scadenza (l'anno prossimo) del mandato del sindaco Virginia Raggi. Messi tutti insieme i nomi del pacchetto nomine fanno una bella impressione e pure numero. Ma vale quello che ripeteva Enrico Cuccia per le azioni in Borsa: si pesano e non si contano. E tutto il pacchetto resta comunque più leggero di un solo Descalzi sull'altro piatto della bilancia.
Senza contare il costo degli effetti collaterali sul movimento, che si sono subito visti con l'invettiva di Di Battista e il fuoco amico del Fatto. Una tale dimostrazione di bulimia di potere non sembrava proprio appartenere ai padri fondatori. E probabilmente è destinata a non portare lontano.
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