Quelli che sputano sulla festa di tutti

Un giorno il 25 aprile ci libererà dai nostri demoni. È una speranza. È una preghiera.

Quelli che sputano sulla festa di tutti

U n giorno il 25 aprile ci libererà dai nostri demoni. È una speranza. È una preghiera. Per ora si sta qui a litigare su una festa nazionale, dentro un discorso surreale, con la maledizione di non riuscire a mettere un punto a un passato strabico. La giornata parlamentare di ieri racconta parecchie cose. La più importante è la regressione culturale della sinistra che, per ottusità ideologica, sta rinnegando il senso del 25 aprile. Questa data segna la fine del fascismo. È il giorno della libertà, quando non c'è più nessuno che ti viene a dire come devi pensare, cosa dire o non dire, come vivere, come sognare, cosa sentirti, con quali occhi guardare il mondo. È la liberazione da una dittatura, con la promessa che non ce ne saranno altre, di nessun tipo. È la liberazione di chi spaccia la propria opinione per sacra e assoluta. È la festa della libertà e della democrazia. Quel 25 aprile del 1945 era carico di futuro. Questo no, questo è una finzione che rincorre un passato incancrenito.

È il 20 aprile del 2023 e in Senato si vota per dare un senso alla festa della liberazione. Un osservatore disincantato troverebbe tutto questo perlomeno bizzarro. Di cosa parliamo quando parliamo di 25 aprile? Sono passati 78 anni e gli italiani non hanno ancora trovato una chiave di lettura comune. Ci si prova anche stavolta. L'opposizione scrive la sua bella mozione e la presenta. È approvata praticamente all'unanimità. C'è solo un astenuto. La vota anche il centrodestra, tutti compatti. È un segnale di apertura. Noi votiamo la vostra e voi votate la nostra. È una stretta di mano. È un modo per dire: va bene, riconosciamoci. Non si chiede di avere un passato condiviso, perché ognuno alla fine guarderà alla storia con i propri occhi. Si possono fermare però dei punti fermi. È la ratio di ogni costituzione, che già esiste, ma a quanto pare non basta. Il 25 aprile sta diventando una sorta di patente di legittimità. A chiederla, con una certa arroganza e senza alcun titolo, è appunto il Pd. Ecco infatti quello che accade. La maggioranza di governo presenta la sua mozione sul 25 aprile. Il centro è che questa festa incarna la resistenza a tutti i totalitarismi. Risposta. I Cinque Stelle, calendiani e renziani si astengono. E il Pd? Il Pd vota contro. Non vuole un 25 aprile comune. È un no in faccia alla «pacificazione». È dire ai tre partiti della maggioranza: non c'è posto per voi. Non vi riconosciamo. È l'incredibile rottura del patto costituzionale. È una forma di guerra civile strisciante.

Il motivo del no tocca spiegarlo a Francesco Boccia, che si sforza di credere a quello che dice. È costretto, per ragioni di partito, a rinnegare la sua cultura e la sua intelligenza. Il Pd ha votato no perché nella mozione del centrodestra non c'è la parola «antifascismo». Ma se si parla di ripudio di ogni totalitarismo? No, non basta. Bisogna solo essere anti fascisti. Tutto il resto non conta.

La realtà è che il Pd sta giocando. È finzione. È il tentativo ottuso e costante di inquinare il gioco democratico. È una professione di intolleranza. È questo allora il senso di questa giornata. Il Pd ha sputato in faccia al 25 aprile.

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