Francesco Cito: "Toscani? Non è un fotografo. Così lucra sulla pelle dei migranti"

Il fotoreporter Francesco Cito solleva un problema di etica sulla foto del gommone dei migranti utilizzata da Toscani per la campagna Benetton: "Se mi dicessero che con quella foto tutto ciò che raccoglieranno in termini di fondi li utilizzeranno per creare un centro di accoglienza o una struttura nel paese da cui queste persone partono, allora avrebbe un senso"

Francesco Cito: "Toscani? Non è un fotografo. Così lucra sulla pelle dei migranti"

"Oliviero Toscani? Non definitelo un fotografo". Queste parole non fanno parte di una pagina dell'ennesima lite a distanza con il ministro dell'Interno Matteo Salvini. A pronunciarle è Francesco Cito, fotoreporter napoletano che da oltre 30 anni, attraverso il suo obiettivo, racconta al mondo le realtà più estreme. Dall’Afghanistan alla Cisgiordania, dalla Palestina al Kuwait, dall’Arabia Saudita al Pakistan, Cito ha catturato i drammi, le storie e i volti di guerre lontane, ma ha raccontato anche le realtà nostrane, dalla mafia alla Camorra passando, tra le altre cose, per il Palio di Siena grazie al quale ha vinto il primo premio al World Press Photo 1996.

Insomma, quando la critica arriva dallo stesso settore e da uno che lavora con la macchina fotografica ha un peso differente.

Cito, diciamo che Toscani non le sta proprio simpatico…

“Non posso dire che le foto fatte da lui col suo marchio siano delle belle foto. Non c'è una foto che ti dia una sensazione. Io non lo ritengo all'altezza, non è un bravo fotografo. Invece a Toscani do pieno merito per il suo modo di comunicare, ma ci vuole anche una certa onestà”.

A cosa si riferisce?

“Mi riferisco alla foto utilizzata dalla Benetton, quella dei migranti sul gommone. Se creo una campagna pubblicitaria e utilizzo le foto fatte da altri non capisco perché non lo si faccia presente. Tutto qui”.

Sicuro?

“No, continuo. Se tu lo sentissi parlare in certe trasmissioni, lui non ha mai amato la fotografia di reportage - anche perché sinceramente non è capace di farla -, ma non ha mai amato nemmeno i fotografi di reportage. Nonostante ciò, utilizza una fotografia di reportage per il suo fine, cioè creare una campagna choc. Così i giornali gli corrono dietro e parlano di Benetton garantendo all'azienda un notevole risparmio dal punto di vista pubblicitario. Per carità, chapeau. Tanto di cappello. Da questo punto di vista non fa una grinza, però c'è un particolare”.

Quale?

“Se tu hai sempre sostenuto che la fotografia di reportage non sia la fotografia, ma che la fotografia vera sia invece quella che tu realizzi, allora perché hai utilizzato questo scatto per farne un uso specifico?”.

Per fare pubblicità e allo stesso tempo sensibilizzare sul tema. No?

“No. Faccio un altro esempio. La foto del morto a Palermo è di Franco Zecchin. Toscani l'ha comprata e l'ha manipolata colorando di rosso la macchia di sangue. Ma quella era una foto di cronaca in bianco e nero e si sapeva esattamente chi fosse il morto perché venne pubblicata da tutti i giornali nazionali dell'epoca. E già questa cosa a me darebbe fastidio perché una foto dovrebbe essere usata così come è nata. Poi, come se non bastasse, non è servita a fare una campagna di sensibilizzazione sulla piaga della mafia, ma è servita per vendere i prodotti Benetton ed è una cosa che secondo me non è giusta".

Cioè lei contesta l'utilizzo della foto in relazione allo scopo ultimo.

“C'è una sorta di ambiguità. Qui non parliamo di foto create in studio, come quelle famose tipo 'Chi mi ama mi segua' scritto sui jeans o del cavallo nero che monta un cavallo bianco, quelle sono foto prettamente pubblicitarie e mi sta bene. Anche la foto del bacio tra la suora e il prete (che poi era una cosa già vista negli anni 70' quando Dino Risi realizzò il film La moglie del prete con Mastroianni e la Loren)... lì sono due attori che stanno recitando, poi puoi fare un discorso contro la religione, contro il perbenismo della chiesa e mi sta pure bene”.

E allora il punto qual è?

“Usare una foto che fa parte di un contesto diverso, un contesto di immigrazione nel Mediterraneo dove ci sono poveri cristi che muoiono durante le traversata... Ma per quale motivo quella foto deve sponsorizzare delle magliette? Se mi dicessero che con quella foto tutto ciò che raccoglieranno in termini di fondi li utilizzeranno per creare un centro di accoglienza o una struttura nel paese da cui queste persone partono, allora avrebbe un senso. Ma qui il messaggio è: 'Attraverso questa foto comprate le nostre magliette'. Se devo mettere una foto di gente che sta morendo in mare e dire come è bella la maglietta Benetton mi girano i co...ni. Perché devo lucrare sulla disgrazia altrui? E poi la famosa legge sulla privacy? Hanno chiesto la liberatoria a tutti quelli che stanno sul gommone?".

In teoria, anche un editore lucra sull'immagine che un fotografo vende a un giornale.

“Certo, ma in quel caso si fa informazione”.

È ancora innamorato della fotografia?

“Oggi molto meno. Non c'è più la cultura di raccontare quello che succede attraverso le immagini. Prima nel mondo dell'editoria era tempo di vacche grasse, poi la pubblicità ha cominciato a dettare legge. Perché io produttore di champagne devo avere al mia pubblicità accanto alla foto dei bambini che stanno morendo in Africa? E allora si toglie foto dei bambini in Africa. Sono rari i giornali che ti commissionano i lavori. E oggi non si cerca più il racconto ma si punta solo ai premi pensando che poi si apra chissà quale futuro. Le faccio un esempio?”.

Dica.

“Io mi ricordo che Giulio Piscitelli, fotografo napoletano, aveva fatto il viaggio su un barcone con un centinaio di migranti dalla Tunisia a Lampedusa. Quando mi fece vedere il lavoro, gli chiesi: 'Quante ne hai venduto?'. La risposta fu: 'Neanche una'”.

Come mai secondo lei?

“Perché non interessava. Oggi a parte qualche dramma in cui sono coinvolti gli italiani per il resto non conosciamo nulla. Hai visto foto sullo Yemen? E pure sta succedendo qualcosa di peggiore della Siria”.

Ma se Toscani paradossalmente avesse usato una delle foto scattate da Piscitelli durante la traversata sul bancone gli avrebbe dato molto più risalto di quello che in realtà ha avuto. Non crede?

“Sì, avrebbe. Ma a quel punto Toscani avrebbe dovuto dire: 'Grazie al mio operato, alla mia lungimiranza, al mio modo di vedere io do spazio a questa foto affinché possa essere vista da tutti'. Ma questo lui non l'ha mai fatto. Il problema sorge anche nel contesto nei media che sulle campagne Benetton hanno sempre attribuito le foto a Toscani nello stesso modo in cui si attribuisce a Corona il nome il fotografo dei vip. Ma lui non ne ha fatta una in vita sua. Corona è un agente, non è mai stato un fotografo. Eppure se tu vai in giro e chiedi chi è il fotografo italiano più conosciuto in Italia ti diranno Toscani e le foto della Benetton".

Che colpa ne ha Toscani se i media scrivono che Toscani è autore delle foto?

“Ma lui si è sempre guardato dal dire che quelle foto non sono sue".

Nelle foto però, seppur scritto in piccolo, compare il nome del fotografo che le ha scattate.

“Sui manifesti pubblicitari degli anni '80 non c'era una solo foto che avesse il credit”.

Ma se Toscani volesse comprare una sua foto accetterebbe?

“No. A meno che non mi dica che tipo di pubblicità vuole fare e come vuole costruirla. Se fosse per un fine giusto, allora sì”.

In teoria anche la foto del gommone avrebbe il fine di sensibilizzare l'opinione pubblica.

“Ma i migranti che stanno sul gommone sono contenti di essere stati pubblicizzati con una campagna Benetton? Questo è un tema da affrontare. I personaggi che appaiono in una foto pubblicitaria vengono pagati, i migranti no. Lei lo sa perché Toscani è stato cacciato da Benetton?”.

Ricordo qualcosa.

“Perché lui andò negli Usa chiedendo un permesso al ministero di Grazia e giustizia per fare le foto ai condannati sulla sedia elettrica. Non so se gli scatti li fece lui o qualcun altro, ma probabilmente li fece lui perché sono tutte uguali. E alla fine venne fuori che queste foto furono utilizzate per una campagna pubblicitaria, l'America si arrabbiò e fece l'embargo sui prodotti Benetton. Ripeto, il problema fotografico è un problema etico”.

L'Ong Sos Mediterranee ha preso le distanze dall'uso della foto. Probabilmente è stata ceduta o venduta dal fotografo che l'ha scattata. Anche lui, secondo lei, eticamente ha commesso un errore?

“Nella misura in cui non ha chiesto cosa ne facesse. Se poi sapeva che sarebbe stata usata per una campagna Benetton ha fatto un ulteriore sbaglio. Avrebbe dovuto chiedere il permesso a chi ha commissionato il lavoro, ma poi davanti ai soldi tutti calano i pantaloni”.

Cosa significa essere un fotografo vero?

“È uno che mette in discussione se stesso, che si rapporta con la società in cui vive”.

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