Coronavirus, gli asintomatici potrebbero essere la chiave risolutiva

Secondo i ricercatori, alcune persone potrebbero aver sviluppato una sorta di parziale pre-immunità dopo essere venuti a contatto con un patogeno simile al Covid-19

Coronavirus, gli asintomatici potrebbero essere la chiave risolutiva

Ora che la curva dei soggetti positivi al Coronavirus è tornata a risalire, gli studiosi rivolgono in particolar modo la loro attenzione sugli asintomatici, dal momento che, per quanto sia cresciuto il numero dei contagiati, molti di questi non manifestano gli effetti della malattia. Una teoria di queste ultime ore è che i cosiddetti asintomatici possano essere delle persone che in passato sono venute a contatto con un patogeno simile al Covid-19 e, proprio grazie a ciò, abbiano sviluppato una sorta di immunità.

Alcuni medici e scienziati, dunque, ritengono che questi cittadini potrebbero essere la chiave per combattere il virus. Un caso degno di menzione viene riportato dal "Corriere della Sera", che cita un articolo del "Washington Post". Stando a quanto riferito dal quotidiano statunitense, in alcuni istituti penitenziari (Arkansas,Virginia, Ohio e North Carolina) oltre 3mila detenuti sono risultati positivi al Coronavirus ed il 96% di questi sono asintomatici. Secondo la dottoressa Monica Gandhi, docente di malattie infettive presso l'Università di San Francisco, il fatto che ci siano molte persone senza sintomi non deve essere visto come un problema, anzi. "Tutt’altro", dice l'esperta,"potrebbe essere un bene per l’individuo e per la società".

Studiando i dati raccolti dal Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie di Atlanta, la dottoressa ha rilevato come il 40% dei positivi non abbia i sintomi della malattia. Una conseguenza, forse, dell'uso delle mascherine, ma non solo. La genetica, infatti, potrebbe aver avuto parte in questo, agendo sia sul patogeno ed i suoi recettori utilizzati per penetrare nelle cellule che sull'ospite. Molto deve ancora essere scoperto. Avanza inoltre sempre di più l'ipotesi che parte della popolazione abbia contratto in passato un virus simile al Coronavirus, cosa che potrebbe aver loro garantito una certa immunità.

L'essere umano dispone di un eccellente meccanismo di difesa: il sistema immunitario. I linfociti T, conosciute anche come cellule della memoria, sono in grado di riconoscere gli agenti patogeni incontrati in passato. Circolando costantentemente nel nostro sangue per garantirci una difesa immediata ed efficace, i linfociti T potrebbero essere in grado di identificare meglio il Sars-Cov-2 se in passato sono venuti a contatto con un virus simile, come ad esempio quello del raffreddore, che rientra nella famiglia dei Coronavirus. Anche le vaccinazioni effettuate nell'infanzia potrebbero dare il loro contributo fornendoci una certa protezione, proprio perché stimolano la produzione di cellule della memoria. Emblematico l'esempio dei bambini, che pur avendo addirittura cariche più elevate del virus, difficilmente sviluppano la malattia.

Altro caso da tenere presente è quello della Svezia, dove non è stato fatto alcun lockdown. Mentre gli altri Paesi correvano a chiudere tutto, gli svedesi hanno continuato a condurre normalmente la loro vita ed i malati, invece che aumentare, sono in progressiva diminuzione. Potrebbe trattarsi, dunque, di una sorta di pre-immunità. Sempre più scienziati ne sono convinti. "Aspettiamo conferme ma è possibile che sia così e sarebbe davvero una buona notizia", dichiara anche l’immunologo Anthony Fauci, come riportato dal "Corriere". I ricercatori si stanno quindi dedicando anche a questo aspetto del Coronavirus.

In un recente studio effettuato a San Diego (California), è emerso che in alcuni campioni di sangue prelevato molto tempo prima che scoppiasse la pandemia da Covid-19 sono presenti cellule della memoria in grado di riconoscere il virus (un dato riscontrato nel 40-60% dei casi).

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