Ritardi, indecisioni e indicazioni ondivaghe. A pandemia ancora in corso, l’Oms è già finita nel mirino per i suoi numerosi errori.
Il Wall Street Journal non ha esitato a definire l’Oms come il “World Health Coronavirus Disinformation”, ossia la: “Disinformazione Mondiale della Sanità sul coronavirus”. L’ente guidato da Tedros Ghebreyesus ha dichiarato la pandemia solo l’11 marzo quando ormai vi erano già più di 100mila casi in tutto il mondo con oltre 4mila morti sparsi in più di 100 Paesi, mentre in Italia si contavano già 827 e 12mila positivi.
Emergenza coronavirus, Oms nel pallone
Il capolavoro dell'Oms, come spiegato anche da Il Giornale, arriva con indicazioni totalmente fuorvianti e contradditorie sull’uso delle mascherine e sui test. Inizialmente l'Organizzazione mondiale della Sanità consigliava di fare i tamponi “solo ai sintomatici” e ammoniva: “Non possiamo mettere a rischio i nostri medici e infermieri. Se non avete una persona malata a casa non avete bisogno della mascherina per favore non mettetela”. Poi, dal 16 marzo, c’è stata l’inversione di tendenza e la raccomandazione di fare “test, test, test” a tutta la popolazione, ma circa 20 giorni dopo, si ribadiva che l’uso delle mascherine non era indispensabile. In un documento dello scorso 6 aprile, infatti, l’Oms sosteneva ancora che la mascherina fosse uno strumento insufficiente per proteggersi dal coronavirus. “Attualmente non ci sono evidenze che indossare una mascherina da parte di una persona sana, anche in un contesto generale in cui si indossano universalmente, possa prevenire l'infezione di un virus respiratorio, compreso COVID-19", si legge nel documento.
Una scelta che ha lasciato totalmente di stucco il virologo Roberto Burioni che, con un tweet, ha definito l’Oms "sempre più deludente” anche perché “l’autorevolezza si guadagna (e si perde) sul campo”, mentre l’epidemiologo Walter Pasini all’Agi, ha usato parole ancora più dure: “L’Oms non dà segni di leadership”.
Il parere degli esperti su tamponi e mascherine
Per capire meglio i motivi di tali errori ilGiornale.it ha interpellato altri due esperti. “Sui test l’Oms poteva cambiare idea prima”, ci dice il professor Antonio Cassone, ex direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità. Proprio Cassone, lo scorso 15 marzo, aveva scritto insieme al professor Andrea Crisanti un articolo pubblicato sul Guardian in cui sosteneva appunto la necessità di effettuare i tamponi anche agli asintomatici. Secondo lui, infatti, l’Oms è partito da una convinzione errata, ossia che “questa infezione fosse come la Sars del 2002-2003”. In quel caso “solo i malati trasmettevano l’infezione”, mentre oggi con il Covid-19 “anche gli asintomatici possono essere infetti e possono trasmettere il virus”. A questa considerazione, però, l’ente guidato da Ghebreyesus, è giunta soltanto a metà marzo. Se questa inversione di tendenza fosse avvenuta prima, molto probabilmente le cose sarebbe andate diversamente, come dimostra anche il caso del Veneto che è già entrato nella Fase 2. L’idea di effettuare ‘tamponi a tappetto’ sulla cittadinanza di Vo’ Eguaneo, come suggerito dal virologo Crisanti, ha consentito di individuare gli asintomatici e frenare la diffusione dell’epidemia. “Attenzione, però, fare i ‘tamponi a tappetto’ non significa farli a tutti, ma solo a quegli asintomatici che sono entrati in contatto con una persona positiva”, ci spiega Cassone. Se, ormai, appare evidente la necessità di monitorare costantemente lo stato di salute del personale medico-infermieristico, poco o nulla si è fatto nelle Rsa e nelle strutture con dimensioni circoscritte. “Bisogna individuare tutti i potenziali contatti avuti da una persona positiva senza aspettare che qualcun altro si ammali”, sottolinea Cassone che, a supporto della sua tesi, porta il caso delle palazzine condominiali di piccole dimensioni. “Se, in un codominio di 20 famiglie, c’è un caso conclamato di coronavirus è bene che tutti gli inquilini di quel palazzo facciano il test, non soltanto i familiari del malato perché si presume che quella persona abbia potuto contagiare anche i condomini, magari con un incontro in ascensore”, spiega.
È meno severo il giudizio sull’Oms espresso da Fabrizio Pregliasco, epidemiologo e direttore sanitario dell’istituto Galeazzi di Milano. “Quella del coronavirus è un’emergenza che si è evoluta in maniera inaspettata anche in Italia. L’Oms, poi, ha solo un compito di valutazione e supervisione, non di responsabilità e, a posteriori, è facile giudicare”, ci dice nel corso di una chiacchierata telefonica. “I test? Sì, ma con buon senso. Non si possono fare analisi tutti i giorni alle persone”, sentenzia Pregliasco secondo cui, ormai, la prospettiva è quella di puntare più sui “test sierologici da ripetere nel tempo per capire la situazione delle persone”. Su questo sta lavorando l’Istituto Superiore di Sanità che “sta valutando diverse tipologie di test visto che possono contenere un certo margine di errore”, dice l’epidemiologo.
Capitolo mascherine. “Dobbiamo portarle perché dobbiamo considerarci tutti malati. Quelle chirurgiche evitano che le persone positive diffondano la malattia, ma serve il distanziamento sociale”, osserva Pregliasco.
“La mascherina protegge solo in minima parte chi la indossa, ma di fronte all’estensione della malattia, è chiaro che anche protezioni limitate possono essere molto importanti”, gli fa eco Cassone. E, così, in vista della fine del lockdown, dovremmo abituarci a una vita diversa, fatta di mascherine, tamponi e test sierologici, anche a causa di alcune sottovalutazioni dell’Oms.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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