Sono numeri davvero sconvolgenti quelli che provengono dallo ospedale di Lodi, di cui fa parte anche il presidio di Codogno, considerato essere la prima trincea in Europa nella guerra contro il coronavirus. Dati riservati, pubblicati dal Corriere della sera, che danno il quadro di cosa è accaduto negli ultimi due mesi nella struttura sanitaria lombarda.
Fino alla sera del 6 marzo, quindi qualche giorni prima del lockdown, erano 110 operatori sanitari avevano contratto il Covid-19. Guerrieri con i camici che stavano lottando per salvare vite di pazienti colpiti a loro volta dal nemico invisibile. Ma con il tempo la situazione è anche peggiorata. Ad oltre due mesi di distanza, in base report riservati di Regione Lombardia aggiornati all’8 maggio, i medici e gli infermieri con un tampone positivo sono 296.
Un numero alto ma che potrebbe non essere del tutto esatto. Per capire quanti di loro si sono davvero ammalati bisogna, però, incrociare un altro numero, ossia quanti sono gli operatori sanitari che sono venuti a contatto con il maledetto virus indipendentemente dalla diagnosi. A tal fine un ruolo importante lo gioca il test sierologico che, cercando gli anticorpi IgM e IgG, può rivelare chi si è contagiato anche senza saperlo perché asintomatico.
Così facendo, i positivi salgono da 296 a 373. Vuol dire che 77 operatori sanitari sono sfuggiti alle rilevazioni. Persone che potrebbero aver continuato a lavorare in corsia anche se con il Covid-19. Ma non è tutto. Perché, come sottolinea ancora il Corriere della sera, una stima sull’intera Regione indica che i positivi sono uno su tre.
L’ospedale di Lodi è stato il primo in Lombardia ad avere completato l’effettuazione del test sierologico su tutti i suoi 2.243 dipendenti. Il motivo è individuare gli asintomatici in tempo. Ma perché qualcuno può essere sfuggito alla rilevazione? Forse perché nelle settimane più difficile, soprattutto ad inizio marzo, non è stata possibile fare a tutti la diagnosi. In quel periodo è possibile che chi si è ammalato, senza però necessitare del ricovero in ospedale, sia rimasto senza tampone.
Quindi è probabile che tra i 77 operatori sanitari contagiati, e scoperti con il test sierologico, ci sono coloro che sono rimasti a domicilio perché avevano febbre o altri sintomi ma non avevano mai avuto la prova di essersi colpiti dal coronavirus. Ma vi è anche un altro motivo: è pressoché impossibile individuare gli asintomatici senza effettuare test.
Negli scorsi giorni, anche in vista della "fase 2", all’ospedale di Lodi, sono eseguiti a tappeto anche i tamponi. Con quest’altro strumento sono scovati altri 38 contagiati che comunque erano al lavoro. Si tratta di 22 infermieri, 3 operatori socio-sanitari, 2 ausiliari, 2 medici, 2 amministrativi, gli altri tecnici.
Avere persone contagiate che curano altri soggetti è un problema. Dal 23 aprile il governatore Attilio Fontana e l’assessore alla Sanità Giulio Gallera hanno deciso di utilizzare il test sierologico per screening di massa sugli operatori sanitari. Finora i medici e gli infermieri testati sono 25.331: quelli positivi sono 3.506, il 14% del totale. Oltre a Lodi, 1.110 a Bergamo (24,1%), 903 a Brescia (11,2%), 656 a Mantova e Cremona (15,5%), 337 a Pavia (8,4%), 110 a Monza (6,2%), 27 a Sondrio (9,5%).
Questi i casi accertati. Il Corriere fa una proiezione di questi numeri sull’intera Lombardia, tenendo conto anche degli ospedali di Como, Varese e Milano che al momento non hanno fornito dati. Dal risultato emerge che i medici e gli infermieri colpiti dal virus sono almeno 11mila, ossia il 10% di tutti gli operatori sanitari pubblici della Regione. Quindi se queste stime sono corrette, all’appello mancano oltre 4.300 positivi.
Inoltre, oltre il 35% dei sanitari che si è ammalato di coronavirus non risulta tamponato. Una percentuale che, come per Lodi, può essere una spia importante per quantificare i potenziali asintomatici. I conti sono in linea con quanto rilevato nell’azienda ospedaliera di Padova dal virologo Andrea Crisanti, colui che ha spinto con forza per i tamponi a tappeto e sulla sorveglianza attiva, che hanno fatto del Veneto un modello internazionale: "Fin dall’inizio in ospedale abbiamo testato tutti: ben ottomila tra medici e infermieri. Li abbiamo sottoposti al tampone a cadenza fissa: addirittura ogni sette giorni per chi lavorava nei reparti Covid-19.
Il risultato è che il 35% dei sanitari con il Covid-19 è risultato asintomatico", ha spiegato Crisanti.La questione si potrebbe ripresentare nel caso di una seconda ondata. Si spera che non accada ma questi dati possono aiutare a prepararsi per il futuro così da evitare il peggio.
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