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Coronavirus, vescovo di Pinerolo: "È un crimine sottovalutare"

Il vescovo di Pinerolo, monsignor Dario Olivero, racconta la sua lunga battaglia contro il virus: "Ho avuto paura di morire"

Coronavirus, vescovo di Pinerolo: "È un crimine sottovalutare"

"Sottovalutare il coronavirus è un crimine". Sono le parole del vescovo di Pinerolo, monsignor Dario Olivero, che racconta la sua lunga e travagliata battaglia contro il Covid in una struggente testimonianza rilasciata alle pagine dell'Adnkronos.

È ritornato a casa appena tre giorni fa, dopo ben 2 mesi di ricovero ospedaliero in cui ha lottato tra la vita e la morte. La paura del Covid-19, e tutti gli atroci patimenti a cui questo virus costringe, non lo ha ancora abbandonato lasciando una ferita insanabile nella sua anima. "Ho passeggiato con la morte accanto per alcuni giorni. - racconta il vescovo - E' un virus maledetto e ancora non è finita". Il drammatico iter della malattia, per monsignor Olivero, che ha vissuto tutte le tappe dell'infezione fino ad essere intubato e tracheostomizzato, è iniziato il 10 marzo scorso: "Ora ne sono fuori e sono felice anche se avrò ancora un mese di riabilitazione. - spiega -Il virus, nel mio caso, mi ha preso nel peggiore dei modi. Nell'ospedale Covid a 4 piani sono partito tra i pazienti leggeri con maschera e ossigeno, poi sono arrivato al terzo piano tra i malati con il casco che ti avvolge la faccia e il respiro che si fa sempre più corto; sono peggiorato ancora: mi hanno intubato. Pensavo che morivano solo gli anziani, io ho 59 anni, ma in quei giorni è morto un uomo di 62 anni".

La testimonianza del vescovo riecheggia quasi come un monito prezioso nei giorni in cui sembra che tutti abbiano già abbassato la guardia inneggiando un ritorno alla normalità. Eppure, nonostante il numero dei contagi sia in calo, dare per spacciato il virus potrebbe essere un errore madornale: la guerra, dopotutto, non è ancora finita. A tal proposito, il vescovo di Pinerolo ammonisce la condotta imprudente della Chiesa e della società civile: "Non bisogna pensare al Covid come ad una parentesi che si chiude e si torna come prima. - continua monsignor Olivero -Sarebbe un crimine, chi la pensa così, ahimè anche all'interno della Chiesa, è un miope. Si deve generare una società diversa, il dramma Covid ce lo dice".

La preghiera resta l'unico conforto certo per gli ammalati e per chi è stato solo lontanamente sfiorato dalla tragedia. L'invito è quello di restare a casa e riscoprire il valore della comunità in modalità rivisitata: "Io tornerò a fare il vescovo consapevole che questo momento il virus ha parlato molto anche alla Chiesa, abbiamo capito che ci sono aspetti che avevamo dimenticato: la preghiera in casa in famiglia, vissuta non come obbligo ma in una dimensione famigliare. Non basta la messa, pur essendo punto centrale, essenziale, della vita cristiana, ma se una comunità ha la messa ma non ha niente altro, quella comunità è già finita".

Infine, il vescovo rivolge un pensiero alla vittime di questa immane sventura. "Questa è una tragedia, si conteranno i morti che sono già parecchi.

- conclude - Credo che ogni comunità farà una celebrazione per ricordare i morti per chi è credente; è fondamentale che ogni vescovo in cattedrale celebri una messa ma credo che come Chiesa italiana o anche ogni diocesi possa pensare ad un giorno della memoria o a realizzare una stele che stia lì a memoria. Magari Bergamo ha più ragione di altri paesi del sud, ma qui al Nord abbiamo tanti morti: giusto fare memoria".

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