Il Coronavirus è mutato? Se sì, in che misura? Sono queste le domande che assillano decine di scienziati in tutto il mondo da quando, l'11 marzo 2020, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha ufficializzato la pandemia. Oggi, a distanza di 8 mesi dal focolaio di Wuhan, nella Cina centrale, la risposta che tutti attendevano col fiato sospeso: "Sì, è cambiato ed è diventato meno letale", assicura Paul Tambyah, presidente della Società Internazionale di malattie infettive in un'intervista al quotidiano La Repubblica.
La mutazione
Una cosa è certa: il Coronavirus si è ''rabbonito''. Lo dicono i dati dell'infenzione che, nonostante l'incremento dei contagi nelle ultime settimane, mostrano un netto calo dei ricoveri in terapia intensiva e, più in generale, dei pazienti che necessitano di ospedalizzazione (qui l'ultimo bollettino diramato dal Ministero della Salute). Un caso o un colpo di fortuna? Nessuna delle due. La scienza conferma che la letalità per o con Covid-19 sta diminuendo in maniera sensibile. Determinante a tal riguardo sarebbe la diffusione di un ceppo più contagioso ma meno virulento (non mortale, per intenderci). Ha una mutazione che si chiama D614G (il nome indica il punto dell’Rna in cui è avvenuta e la lettera del gene che è cambiata) ed è così efficiente che si è propagata in due terzi dei nuovi contagi nel mondo in tempi rapidissimi. Ma che cosa vuol dire, è un bene o un male?
La buona notizia
Paul Tambyah, scienziato, medico dell’ospedale universitario e segretario del partito democratico di Singapore ne è certo: “Un virus più contagioso ma meno letale potrebbe essere una buona notizia”. E la mutazione è troppo piccola per confondere i nostri anticorpi. “Le due varianti sono quasi identiche. Le differenze non coinvolgono le aree che il sistema immunitario usa per riconoscere il virus. I vaccini non dovrebbero avere problemi”. Con oltre 20 milioni di casi, il Coronavirus ha avuto un numero di replicazioni sufficienti per cambiare in alcuni dettagli del genoma e adattarsi all’organismo umano. “Il suo interesse – spiega l'esperto – è infettare più persone possibile senza ucciderle. Un microrganismo dipende dal suo ospite per sopravvivere e diffondersi. Evoluzioni simili – maggiore diffusione, meno sintomi – sono la regola nel mondo dei virus". Una notizia che dà ulteriore credito alle parole del professor Zangrillo quando, in tempi non sospetti, aveva dichiarato ''la morte clinica'' del virus. Senza contare che, inoltre, una ''variante buona'' del virus era già isolata a Brescia lo scorso giugno.
Virus vulnerabile agli anticorpi
In conseguenza alla mutazione, il virus potrebbe essere diventato più vulnerabile agli anticorpi. Ciò significa che, allo stato dei fatti, un vaccino sarebbe in grado di neutralizzarlo. Secondo una ricerca dell’università della Pennsylvania pubblicata su MedrXiv: “L’aumento di infettività ottenuto grazie a D614G avviene al costo di rendere il virus più vulnerabile agli anticorpi neutralizzanti”. Messo a contatto con il plasma dei convalescenti, inoltre, il genoma mutato risulta essere meno resistente.
Tra le persone infettate, la presenza del virus con D614G non ha mai dimostrato di causare sintomi più gravi, nonostante naso e gola ospitassero in media quantità superiori di microbi. Una notizia che fa ben sperare per la fine - si spera imminente - della pandemia.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.