Perché sia fatta giustizia non è mai troppo tardi. Deve averlo pensato Giselda Anselmi prima di sedersi, nel mese di febbraio, davanti alla pm Valentina Magnini per “l’incidente probatorio” in cui la donna, ormai novantenne ha raccontato quel che accadde nelle campagne di Radicofani, nel Senese, il 22 giugno del 1944.
“È una scena che rivedo davanti a me tutti i giorni - ha confessato Giselda - quei due soldati che afferrano mia madre lungo la strada, lei che continua a tenere stretta la mia sorellina Elisabetta, un mese appena. Loro che provano a strappargliela, lei che resiste. Loro che le sparano. Una ferocia sconvolgente, solo per immobilizzarla. Poi la violenza, le urla. E il respiro di mamma che si affievolisce lentamente di notte sino a spegnersi del tutto al mattino. Quando mia madre Ottavia Fabbrizi morì stava ancora allattando la piccola”.
L’atto che racchiude la terribile storia raccontata dall’anziana ora, è nelle mani della Procura militare di Roma che ha aperto un fascicolo. Chi fu a compiere quegli atti disumani, chi è che senza saperlo ha lasciato nella mente di Giselda il ricordo indelebile dell’ingiusta morte della madre? Questo non lo si è mai saputo e i responsabili della storia dell’orrore probabilmente non verranno mai individuati. É passato troppo tempo da quel giorno. Ma la testimonianza racconta dai pm che, con ogni probabilità potranno solamente procedere con la richiesta di archiviazione varrà per la memoria. Un giorno prima che la madre di Giselda morisse, il padre della donna Sebastiano aveva deciso di lasciare la cascina degli Anselmi. “Qui non possiamo più stare”, disse il padre quella triste mattina del 21 giugno 1944. Poi, decise di raggiungere a piedi la casa della madre. Una cannone aveva completamente distrutto la struttura agricola e da lì, inizia il racconto della storia di Giselda.
Il padre “era un contadino di poche parole, un “ragazzo del ‘99” catturato dagli austriaci sul Piave, deportato in Germania e richiamato alle armi dopo il 1940”, spiega l’anziana. La famiglia che l’uomo era riuscito a tirare su era molto rumorosa, e quel giorno, tutti, marito, moglie, otto figli, si incamminarono. Durante il tragitto un forte rumore, una scarica di colpi di mitragliatrice e le grida. Due pastori erano stati uccisi dopo essersi opposti al furto delle pecore. Dopo poco la famiglia raggiunse un podere dove vi erano altri sfollati. “Si avvicinarono due soldati, avevano un carnato olivastro” racconta la donna ai pm. “Io in quel momento non avrei potuto dire di che nazionalità fossero, mai sentita la loro lingua”, ma una cosa è certa “non erano tedeschi. Quella mattina li avevamo incontrati per strada mentre si ritiravano; papà il tedesco lo conosceva bene per averlo imparato durante la prigionia. Gli dissero: Con tutte queste ragazze che ti porti dietro devi stare attento, gli alleati le stuprano…".
I due uomini in divisa, armati, “cercarono di violentare le sorelle che papà nascose tra i cespugli”. Allora gli uomini insistettero in maniera violenta e decisi strattonarono e presero Ottavia che tenne stretta a sé l’ultima figlia, neonata. La piccola cadde a terra e la “mamma la riprese e poi venne gettata dietro un albero”. Due spari decisi e poi l’accoltellamento. “Sparì alla mia vista per un quarto d’ora”, spiega Giselda. Quando i due uomini se ne andarono mamma Ottavia rimase in silenzio e continuò ad allattare. Prima di morire, il mattino seguente. Nei giorni a seguire gli orrori si ripeterono. I soldati “continuarono a violentare altre donne sinché qualcuno li cacciò lanciandogli delle bombe a mano”.
Chi erano i "goumiers", i soldati che violentavano le donne
Nel racconto scioccante della donna si ripercorrono i momenti terribili del passaggio della guerra in Toscana. Ricordando in maniera tanto lucida quanto faticosa le violenze sulle donne “commesse dai goumiers”. “I soldati coloniali, arabi e africani, inquadrati nelle truppe francesi che combattevano con gli Alleati”, come spiegano gli avvocati di Giselda Anselmi, Luciano Randazzo e Paola Pantalone.
“Per quel delitto allora non ci furono indagini, niente” , spiega la donna. Certa di pretendere “giustizia anche adesso, da vecchia. Lo pretendo per chi subì le stesse atrocità rimaste impunite in migliaia di casi tra Campania, Lazio, Abruzzo e Toscana”. Fatti disumani che oggi rimangono “un fenomeno poco conosciuto e sottovalutato”, ma che dovrebbe essere giudicato - spiega Marco De Paolis a Repubblica, il procuratore generale militare presso la Corte militare d’Appello di Roma che ha fatto luce sulle stragi naziste di Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema - “secondo la legge di bandiera”. Si tratta delle violenze terribili commesse dai goumier tra 1943 e e il 1944. Le stesse “raccontate nel romanzo La Ciociara”, spiega De Paolis.
Per lui, insomma, dovrebbe essere la giustizia francese a fare chiarezza sui reati commessi dai propri militari. E su questo sono d’accordo anche Randazzo e Pantalone.
“La Francia celebra i goumier come eroi dedicando loro piazze e strade delle loro città - spiegano gli avvocati - mentre in Italia sono stati autori di ripetute violenze indicibili. Forse accanto a quelle celebrazioni dovrebbero essere ricordati anche le centinaia, se non migliaia, di stupri che i coloniali francesi commisero risalendo la Penisola assieme agli Alleati”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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