Guerriglia in mezzo all'Autostrada del Sole. Un agguato studiato a tavolino, ideato nei minimi dettagli e che nemmeno la chiusura dell'ingresso dell'autogrill di Badia al Pino da parte della polizia è riuscita a sventare. Le frange violente che gravitano nelle curve di Napoli e Roma aspettavano il «momento» dello scontro da quasi un decennio. La resa dei conti per la mattanza di Tor di Quinto, prima della finale di Coppa Italia nel 2014, lì a morire fu Ciro Esposito, in trasferta per seguire il Napoli, ucciso da un colpo di pistola esploso dall'ultrà giallorosso Daniele De Santis.
Dopo i due anni di stadi chiusi, causa Covid, ci eravamo disabituati alla violenza legata al calcio, sembrava solo un ricordo. L'ultimo caduto della follia mascherata da tifo pensavamo dovesse restare Daniele Belardinelli, il supporter nerazzurro investito e ucciso da un Suv guidato dal napoletano Fabio Manduca, era il 26 dicembre 2018, quella sera gli interisti avevano organizzato un agguato ai rivali in arrivo allo stadio di San Siro. Poche settimane dopo arrivò il giro di vite del governo. Poi gli spalti vuoti per il virus. Invece la violenza ultrà ha ripreso forza, gli odii non si sono mai stemperati, ma solo rinfocolati. Le dimostrazioni d'affetto di tutto il mondo del pallone per gli ultimi miti del calcio scomparsi, Sinisa Mihajlovic e Gianluca Vialli, per restare alle latitudini italiche, sono ancora in corso. I napoletani stavano andando proprio a Genova, dove li aspettava una commemorazione toccante dei due ex idoli blucerchiati. «Capitani coraggiosi, esempi della lotta contro il male». Un minuto di silenzio, applausi e standing ovation. Ma prima - e magari pure dopo - botte e violenza cieca. Coltelli, spranghe, bastoni. Sempre ieri all'Olimpico di Roma la curva Nord, quella dei sostenitori della Lazio, era rimasta vuota. Non uno «sciopero del tifo» ma una condanna della Procura federale per i cori razzisti di Lecce. E dai distinti si è sentito per tre volte uno slogan antisemita. Sembra di essere ripiombati direttamente negli anni bui. La politica punta il dito. Condanna - e ci mancherebbe -, distingue i «tifosi veri» dai «violenti», promette un «giro di vite». Il pannicello caldo usato per curare i mali del pallone di casa nostra è sempre stato il divieto di trasferte o quantomeno la limitazione degli spostamenti. Una soluzione utile per qualche mese, ma che spesso rimanda soltanto i problemi. La violenza, come un fenomeno carsico, riemerge e trova modalità sempre più clamorose per esprimersi.
E ogni volta si cita l'Inghilterra e la battaglia di civiltà vinta contro gli hooligan (almeno in patria). Troppe connivenze e strizzate d'occhio dietro le dichiarazioni di facciata, a ogni livello dalle nostre parti. Il mito dell'ultrà sopravvive così. L'unica soluzione per archiviarlo è abbatterlo.
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