La collaboratrice della Crusca contro lo schwa: "Crea solo confusione"

Secondo la linguista Cecilia Robustelli "l'introduzione di un simbolo estraneo alla lingua in un testo creerebbe confusione nella comunicazione"

La collaboratrice della Crusca contro lo schwa: "Crea solo confusione"

I fanatici woke dell'inclusività e della correttezza politica questa volta dovranno prendere appunti. Lo "schwa" - rappresentato dal simbolo ə, che i politicamente corretti vorrebbero impiegare al posto della desinenza maschile per definire un gruppo misto di persone - non è sinonimo di arricchimento e di inclusività ma "rende tutto un mucchietto di parole" senza capo né coda. A sottolinearlo è, in un'intervista all'agenzia Dire, Cecilia Robustelli, ordinaria di Linguistica italiana presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia che da anni lavora con l’Accademia della Crusca. La ragione della stroncatura dello "schwa" è innanzitutto tecnica: come spiega la nota linguista, infatti, "la funzione primaria del genere grammaticale in un testo è permettere di riconoscere tutto ciò che riferisce al referente", cioè "all’essere cui ci riferiamo, attraverso l’accordo grammaticale". Se si eliminano "le desinenze scompaiono tutti i collegamenti morfologici, e il testo diventa un mucchietto di parole delle quali non si capisce più la relazione". Semplice, no?

"Lo schwa mina la coesione testuale"

La sinistra identitaria che preme affinché lo schwa entri nel linguaggio comune e istituzionale sostiene tuttavia che il genere maschile e femminile siano limitanti - e dunque offensivi - per tutte le persone che si definiscono "non binarie", ovvero chi non riconosce di appartenere al genere maschile né a quello femminile, a prescindere dalla realtà biologica. Tuttavia, osserva Robustelli, "il genere grammaticale viene assegnato ai termini che si riferiscono agli esseri umani in base al sesso. Il genere ‘socioculturale’, cioè la costruzione, la percezione sociale di ciò che comporta l’appartenenza sessuale, rappresenta un passaggio successivo". Inoltre, l'impressione è che "il termine ‘genere’ venga spesso usato con il significato di ‘sesso’ e questa confusione complica il ragionamento, già di per sé complesso”.

Ma al di là di questo aspetto, il vero problema è che introdurre lo schwa nella lingua italiana ed eliminare le desinenze crea solo confusione dal punto di vista linguistico: "Si eliminano gli accordi tra le parole e si mina l’intera coesione testuale: e questo è un fatto grave" sottolinea la docente. Nonostante le buone intenzioni, si tratta di fatto di proposte "irrealizzabil nella realtà della lingua italiana".

Michela Murgia regina dello schwa

La prima a "sdoganare" l'uso dello schwa nella lingua italiana è stata forse la scrittrice Michela Murgia, paladina della sinistra woke. Nell'articolo pubblicato lo scorso giugno sull'Espresso intitolato Perché non basta essere Giorgia Meloni, la nota scrittrice radical chic ha fatto largo uso della e rovesciata per rendere neutre le desinenze, scatenando le polemiche sul web e sui social network.

Ma che sia un semplice vezzo ideologico, inapplicabile nella realtà, lo si capisce banalmente leggendo il testo ad alta voce, come ha fatto peraltro Flavia Fratello su Radio radicale durante la rassegna stampa. Un pezzo sostanzialmente illeggibile all'atto pratico proprio per via della presenza dello schwa. Che, a questo punto, dovrebbe essere considerato un erroraccio da matita blu.

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