Il cuore troppo bianco di Notre-Dame

La cattedrale, immacolata, è perfetta per i selfie inconsapevoli. Ma perde la sua storia

Il cuore troppo bianco di Notre-Dame
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Il Papa, come è noto, non sarà presente alla grande festa per la riapertura della cattedrale di Parigi. Il suo no è stato secco, deciso: le sue priorità sono altre. Dal tono si deduce una certa antipatia (già ben nota) per gli eventi mondani (sempre che in questo momento la Francia abbia tutta questa voglia di eventi mondani).

Tra le tante Notre-Dame che il gotico ha lasciato sul suolo francese quella parigina non è la più bella. Però è il Duomo di Parigi, il cuore della Francia cattolica, «figlia primogenita della Chiesa», una chiesa che fu pomo di infinite discordie, a più riprese violenta e violentata.

Ma Notre-Dame è anche uno dei poli del turismo parigino, più visitata del Louvre e di Versailles, di cui è molto più piccola: con previsioni, dopo la riapertura, di un raddoppio o quasi delle presenze. Si parla di almeno quarantamila visitatori al giorno, una media che contempla giorni infrasettimanali, mesi come febbraio e novembre, il che lascia immaginare quali saranno i numeri nei giorni di ressa, a quale urto dovrà resistere questo antico gioiello.

Non serve molta immaginazione a chi, milanese come me, si trova a passare quasi ogni giorno davanti al Duomo. L'assalto è costante e furibondo, sopra e sotto, e io provo di fronte a tutto questo un perplesso sconcerto, e temo a volte di non capire più nulla dei miei simili.

Se è così con i numeri di Milano, figuraimoci con quelli di Parigi. C'è da avere un po' di paura.

Quello che si vede della chiesa restaurata è, in questo senso, l'epifenomeno, la schiuma di un problema presto riassunto considerando l'aumento della popolazione mondiale e la percentuale, tra questi otto miliardi, di quelli che oggi si possono permettere un viaggio a Parigi. Il turismo è sempre più di massa, e la massa cresce.

Eppure resta molto da dire sull'aspetto che Notre-Dame presenterà a questa folla immensa. Cosa vedranno? Cosa capiranno? Quali memorie, testimonianze verranno loro incontro? Quale bellezza leggibile, conoscibile, interpretabile?

Sono certo che i restauri di Notre-Dame abbiano proceduto tenendo conto di questo problema. Eppure le polemiche non si sono fatte aspettare. Si è parlato di uno snaturamento dell'atmosfera originale causato dai nuovi arredi, altari e sedie, c'è chi ha ironizzato paragonando il nuovo aspetto interno della cattedrale al Salone del Mobile.

Ma il problema non sta qui. Una cattedrale - lo disse bene Proust - ha la sua forza nel tempo, la sua bellezza è costituita non solo dal disegno originale ma da tutte le aggiunte che, nei secoli, la fede e l'amore degli uomini vi hanno depositato. Davanti a un'antica cattedrale il nostro criterio estetico va corretto, arricchito.

Che ci siano delle novità (piacciano o no) è normale. Qui il vero problema sta piuttosto nel restauro delle parti strutturali, nella reiterazione di quell'idea, di cui fu antesignano il celebre architetto Eugène Viollet-le-duc, che le chiese si dovrebbero restituire al candore originario - e qui la parola «candore» calza a pennello, data la pietra che servì a costruire questa e altre cattedrali gotiche.

Raschiate a dovere, pareti e colonne si sono sbiancate perdendo il nero che il tempo, prima dell'incendio, vi aveva lasciato. E io confesso la mia perplessità davanti a tutto questo bianco, che avvicina l'aspetto di Notre-Dame a quello di una qualunque chiesa protestante. È già successo a Chartres, ora succede a Parigi.

Questo ritorno alla purezza è una bugia, è puro non-racconto. Tra Viollet-le-Duc e Proust io sto mille volte con Proust, che celebrò in modo insuperabile la sporcizia della storia, i suoi depositi, le sue scorie. La materia delle cattedrali è il tempo, che consuma e fa nascere.

Che, poi, vengano conservate le antiche vetrate di Notre-Dame (che non hanno subito danni particolari) o, come vorrebbe Macron, siano sostituite con altre, è meno importante: le aggiunte, i rischi, le scommesse anche se perse sono cose vive.

Ma non si può pretendere di riportare un edificio a come fu pensato ab origine senza, in fondo, sapere davvero cosa e

come pensavano quelli che lo realizzarono. Si corre il pericolo di ridurre un pezzo di storia a un guscio vuoto ad uso di sguardi ignari ma armati di smartphone, destinato ad essere smontato e divorato da miliardi di selfie.

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