«La politica interna, diceva John F. Kennedy, ci può sconfiggere, la politica estera ci può uccidere». Vale anche per l'Italia. I disastri causati dal governo giallorosso e da quelli precedenti possono venir corretti se Mario Draghi individuerà la ricetta per uscire dalla pandemia e investire i 209 miliardi del Recovery fund. Più difficile è riemergere dall'attuale irrilevanza internazionale. Per questo Draghi dovrà individuare un ministro degli Esteri capace di restituirci credibilità e autorevolezza operando sui binari consolidati dell'Alleanza atlantica. Il che non significa sudditanza all'America di Joe Biden, ma capacità di ritagliarci un ruolo nelle zone grigie dove gli Usa necessitano di alleati affidabili. La Libia, con i suoi aggregati del Mediterraneo e dell'Africa Settentrionale, è una di queste.
Su quella sponda, uscito di scena Marco Minniti, ci siamo trasformati da potenza di riferimento in ospite pagante pronto a venir messo alla porta dalla Turchia di Erdogan. Ma Ankara, protagonista di opache intese con Mosca, è un alleato troppo infido per un'America preoccupata di ritrovarsi una base navale russa in quel di Sirte. Le ambiguità turche possono dunque diventare opportunità se sapremo riavviare quei rapporti libici di cui anche l'americano più scaltro stenta a comprendere logiche e misteri. Ma per riconquistarci un ruolo a Tripoli dobbiamo tornare a contare nel Mediterraneo, ridimensionando le manovre navali ed energetiche di una Turchia che preoccupa Washington anche per le minacciose mosse sul fronte di Cipro e Grecia. Senza dimenticare che l'Italia si ritrova alla confluenza di una rotta dei Balcani e del Mediterraneo Centrale, su cui si muove gran parte del traffico migratorio diretto in Europa. Quelle due rotte, oltre a costringere l'Italia ad un'insopportabile onere dell'accoglienza, rappresentano (lo dimostrano gli attentati di Nizza e Vienna dello scorso autunno) una doppia via di penetrazione per un terrorismo pronto a rialzare la testa nel dopo-pandemia. Per questo l'Italia deve proporre politiche di contenimento del fenomeno migratorio affiancate da politiche di sicurezza per la prevenzione del terrorismo. Ancor più importante sarà ribadire il nostro ruolo e la nostra funzione di terzo contribuente europeo. Uscito di scena il Regno Unito, Washington è alla ricerca di un partner con cui contenere le iniziative diplomatiche della Francia e mettere un freno al surplus commerciale della Germania. Un ruolo che è nostro interesse svolgere, visti i tentativi di Berlino e Parigi di estrometterci da qualsiasi ruolo europeo. Prova ne sia l'esclusione dai negoziati sull'accordo per gli investimenti tra Bruxelles e Pechino. Un negoziato concluso a fine dicembre e condotto solo da Germania Francia. Esclusione doppiamente umiliante se pensiamo all'impegno profuso da Conte e Cinque stelle per la firma del memorandum sulla Via della Seta con Pechino. Nocivo per i rapporti con Washington, ma inutile evidentemente per quelli con Pechino, il memorandum è una delle prime eredità da rivedere. Il che non significa annullare gli impegni commerciali e industriali con i partner cinesi, ma restringerli a settori non pericolosi per la sicurezza nazionale, contribuendo a quel contenimento del Dragone indicato come urgenza strategica dall'amministrazione Biden.
Ma un ruolo fondamentale, visti i nostri buoni rapporti con la Russia, è anche il rilancio di quel dialogo tra Washington e Mosca avviato nel 2002 a Pratica di Mare grazie
all'impegno di Silvio Berlusconi. Un rilancio indispensabile per impedire un ritorno dell'Europa alla Guerra fredda. Anche perché nuove sanzioni anti-russe renderebbero ancor più difficile l'addio dell'Italia alla recessione post-pandemia.
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