Tra allarmismi, errori e paure: ecco dove sbagliano i virologi

Le ultime polemiche sul vaccino anti Covid evidenziano i limiti del pessimo stile comunicativo utilizzato dagli esperti

Tra allarmismi, errori e paure: ecco dove sbagliano i virologi

Con la stessa leggerezza usata nel prevedere ipotetiche terze e quarte ondate di Covid-19, nello spingere per la chiusura dell'Italia in barba a tutte le conseguenze economiche del caso e nel suggerire al governo la serrata di questa o quella attività commerciale, il nutrito club degli esperti di epidemie è passato adesso a fornire allegri consigli sulla somministrazione dei vaccini anti coronavirus.

Uno stile comunicativo da rivedere

L'ultima polemica si è scatenata in seguito alle dichiarazioni rilasciate da Andrea Cristanti in occasione del festival della divulgazione del periodico Focus, svoltosi qualche giorno fa al Museo Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. In merito all'arrivo del vaccino contro il Covid-19, il microbiologo è stato molto chiaro: "Normalmente ci vogliono dai 5 agli 8 anni per produrre un vaccino. Per questo, senza dati a disposizione, io non farei il primo vaccino che dovesse arrivare a gennaio. Perché vorrei essere sicuro che questo vaccino sia stato opportunamente testato e che soddisfi tutti i criteri di sicurezza ed efficacia. Ne ho diritto come cittadino e non sono disposto ad accettare scorciatoie".

Una buona parte del mondo della scienza è subito insorto: stavamo aspettando il vaccino come pioggia nel deserto e adesso alimentiamo dubbi del genere? Le aspre polemiche hanno spinto Crisanti ad aggiustare il tiro. "Non c’è il timbro della scienza – ha dichiarato al Corseranon sono un no-vax, ma ci vado cauto, non vorrei pentirmi. Quando uscirà la pubblicazione scientifica andrò a vaccinarmi, facendomi anche fotografare". Resosi conto del mezzo tsunami provocato con un paio di frasi, Crisanti è stato costretto ad aggiustare le sue parole.

Altro giro, altra corsa. Ecco che cosa raccomandava una settimana fa il direttore del Reparto malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, in vista delle feste natalizie: "Se vogliamo uscirne per Pasqua i regali dovrebbero essere acquistati esclusivamente su internet, il cenone dovrebbe avvenire in gruppi ristretti magari collegandosi in videochiamata. Dobbiamo aver pazienza, tutelare gli anziani e farci gli auguri il più possibile a distanza". Che dire, invece, dell'allarme lanciato da Ilaria Capua sulla possibile diffusione del virus tra gli animali? Per la direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida la circolazione del virus negli animali, soprattutto in quelli selvatici, potrebbe far "perdere definitivamente il controllo dell’infezione".

Questi - e altri - episodii evidenziano alla perfezione tutti i limiti del pessimo stile comunicativo solitamente utilizzato dagli esperti. Detto altrimenti, anche se i concetti espressi da epidemiologi e virologi vari sono scientificamente corretti (o quanto meno plausibili), i suddetti professori dovrebbero affinare la loro comunicazione. Già, perché un conto è descrivere un esperimento ai colleghi di laboratorio, un altro è – o almeno così dovrebbe essere – profetizzare terapie intensive al collasso, alimentare incertezze sui vaccini e incolpare gli italiani in un talk show televisivo.

Tra ipotesi e incertezze

Apparire in tv ogni sera suggerendo rigorosamente di chiudere il Paese per frenare la corsa del virus rischia di essere controproducente. È vero, da un punto di vista "tecnico" si tratterà forse della soluzione migliore. Ma gli epidemiologi devono capire che dall'altra parte dello schermo ci sono decine di milioni di italiani che non masticano la loro materia e che, di fronte a certe espressioni, potrebbero spaventarsi più del dovuto. A maggior ragione se le affermazioni degli esperti si basano – come quasi sempre – su ipotesi e non su certezze assolute.

Per non confondere ulteriormente una popolazione già provata dalla pandemia, gli esperti potrebbero (e dovrebbero) affinare il loro stile comunicativo, rendendolo meno apocalittico e più divulgativo. Anche perché il telespettatore medio, una volta accesa la tv, capirà ben poco di quanto sta accadendo se non che deve starsene chiuso in casa. Pena: essere accusato di aver diffuso la pandemia con i suoi comportamenti scellerati.

In un primo momento sembrava che l'emergenza sanitaria avesse finalmente spazzato via i campioni del populismo per rimettere al centro della scena gli uomini

del sapere. Purtroppo molti di questi esperti hanno dimostrato di non avere la minima idea di come comportarsi sotto i riflettori. Lavorare sullo stile comunicativo potrebbe essere il primo passo verso la riscossa.

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