"La personalità e i suoi appoggi: perché Franzoni non confessa il delitto di Cogne"

A 19 anni dal delitto, la drammatica vicenda di Cogne tiene ancora banco. Annamaria Franzoni è colpevole o innocente? "Assolutamente innocente", dice Carlo Taormina a ilGiornale.it. Colpevolista Bruzzone: "Nessun dubbio"

"La personalità e i suoi appoggi: perché Franzoni non confessa il delitto di Cogne"

Sono passati 19 anni dal delitto di Cogne, 13 dalla condanna per omicidio nei confronti di Annamaria Franzoni, madre del piccolo Samuele Lorenzi, vittima di infanticidio. A distanza di quasi due decadi dalla terribile vicenda, e nonostante la sentenza definitiva della Cassazione abbia sancito le pagine conclusive di un lungo iter processuale, il finale di questa storia da brividi sembra ancora sospeso: Annamaria Franzoni non ha mai confessato di aver ucciso il figlio. "Credo ancora e assolutamente all'innocenza della Franzoni", afferma a ilGiornale.it l'avvocato Carlo Taormina, ex difensore della mamma di Cogne. Di tutt'altro avviso è invece la criminologa Roberta Bruzzone. "Che sia stata la Franzoni non ci sono dubbi di alcuna sorta, ma lo sa perfettamente anche lei. Semplicemente lo nega e lo negherà finché campa".

Il delitto

Tutto ha inizio il 30 gennaio del 2002, a Montroz, piccola frazione del comune di Cogne, in Valle d'Aosta. Alle ore 8.28 del mattino, al centralino del 118 giunge una telefonata a dir poco sconcertante. Una donna di 31 anni si dispera da un capo della cornetta: "Mio figlio vomita sangue, non respira più! Fate presto, è tutto insanguinato!". A lanciare l'allarme è Annamaria Franzoni, mamma del piccolo Samuele Lorenzi di soli 3 anni e 2 mesi, che giace agonizzante sul letto dei genitori. L'operatore allerta immediatamente i soccorsi inviando al luogo della segnalazione un elisoccorso. Alle ore 8.50 l'elicottero del 118 atterra nello spazio antistante la villetta dei coniugi Lorenzi. Disteso sulla neve, col capo e il volto completamente insanguinati, c'è Samuele. Il bimbo ha una benda che gli fascia l'intera circonferenza della testa. A provvedere alla medicazione è stata la dottoressa Ada Satragni, amica di Annamaria Franzoni, ritenendo si tratti di un aneurisma cerebrale. La donna riferisce che la mamma del piccolo, verso le 8.27 del mattino, le avrebbe telefonato sostenendo che al figlio fosse "scoppiato il cervello". Insospettiti dal racconto, e notando la presenza di profonde ferite sul capo del giovanissima vittima, i soccorritori decidono di avvertire i carabinieri. Il bimbo viene trasportato d'urgenza all'ospedale Margherita di Savoia, ma alle ore 9.55 viene confermato il decesso. Quarantotto ore dopo l'autopsia accerterà che si è trattato di omicidio: il piccolo è stato colpito ripetutamente alla testa – 17 è il numero delle ferite riscontrate - con un'efferatezza tale da indurre la fuoriuscita di materia grigia dal cervello. Qualcuno lo ha ucciso. Ma chi?

L'inizio di un incubo

A poche ore dalla tragedia le indagini vengono affidate ai carabinieri su coordinamento della procura di Aosta. La prima a essere ascoltata dagli investigatori è Annamaria Franzoni, la mamma di Samuele. È lei ad aver trovato il piccolo in una pozza di sangue prima di chiunque altro ed è lei ad aver telefonato al centralino del 118. Ai militari racconta di essersi allontanata da casa per pochi minuti, appena il tempo di accompagnare l'altro figlio, Davide, alla fermata dello scuolabus. Prima di uscire avrebbe portato Samuele, che si era svegliato piangendo, nella camera da letto matrimoniale, al piano inferiore della villetta. Sarebbe poi rincasata 8 minuti più tardi, quando il piccolo era già agonizzante. Dunque, secondo la versione della donna, qualcuno si sarebbe introdotto all'interno dell'abitazione durante la sua assenza, e in quel breve lasso di tempo avrebbe ucciso il figlio. Ma da un primo sopralluogo i carabinieri non riscontrano alcun segno di effrazione all'abitazione e dentro è tutto in ordine. Qualcosa non torna e il racconto di Annamaria contrasta con l'ipotesi iniziale di un tentativo di furto finito male.

Villetta Cogne

La scena del crimine

Nelle indagini vengono chiamati in causa i Ris di Parma, guidati dal comandante Luciano Garofano. Gli esperti si rendono conto che l'omicidio si è risolto interamente nella camera da letto dei coniugi Lorenzi. C'è sangue ovunque: dal piumone alla parete dietro la testiera del letto e persino sul soffitto. Gli uomini del Ris si affidano alla bloodstain pattern analysis per provare a definire l'azione omicida. Si tratta di una tecnica all'avanguardia che consente di studiare la morfologia delle macchie di sangue al fine di specificare la dinamica dell'aggressione. Ma la stanza, teatro del terribile crimine, appare notevolmente inquinata dalle orme lasciate da tutte le persone che hanno affollato la villetta nel tentativo di soccorrere Samuele. La vicenda si complica fino a diventare un rebus di difficile risoluzione. Chi e per quale motivo ha massacrato un bimbo di soli tre anni? E se l'assassino avesse voluto attuare una vendetta nei confronti dei coniugi Lorenzi?

Medico Franzoni

I sospettati

Nel mirino degli investigatori finiscono i vicini di casa di Annamaria e del marito Stefano. Secondo la coppia, qualcuno dei conoscenti potrebbe aver dato seguito al tremendo delitto sulla scia di frizioni irrisolte. Il movente dell'omicidio, a dir loro, sarebbe dunque da ricercare in dinamiche esterne al contesto familiare. La prima persona a cui i coniugi Lorenzi fanno riferimento è Ulisse Guichardaz, un guardiaparco con cui pare abbiano avuto degli screzi per la costruzione della villetta. Inoltre Annamaria racconta che, la sera antecedente al misfatto, l'uomo avrebbe rimproverato Samuele in modo eccessivamente severo. Poi è il turno di Daniela Ferrod, la vicina di casa che per prima avrebbe visto il bimbo in un bagno di sangue. Tra le due donne pare ci fossero frizioni, senza contare che la Ferrod avrebbe potuto essere l'unica a intrufolarsi nell'abitazione e commettere il delitto in un arco di tempo di soli 7/8 minuti (abitava a pochi passi dalla villetta). Da ultimo vengono chiamati in causa anche i coniugi Perratone. A detta dei Lorenzi, sarebbero stati invidiosi della loro serenità familiare. Gli inquirenti mettono tutti sotto controllo ma senza successo. Nessuna delle persone sospettate è minimamente coinvolta nella vicenda.

L'arresto di Annamaria Franzoni

L'11 febbraio 2002 gli inquirenti decidono di sottoporre a nuovo interrogatorio Annamaria Franzoni. La donna avrebbe avuto un comportamento sospetto quella tragica mattina in cui il figlio è morto, specie quando ha allertato i soccorsi. Quando telefona alla dottoressa Satragni per chiedere aiuto, Annamaria racconta che al bimbo "è scoppiato il cervello". Un minuto dopo, all'operatrice del 118 dice che il piccolo "vomita sangue". Da ultimo, nella breve conversazione con la segretaria del marito, afferma che "Samuele è morto". Versioni discordanti sulla narrazione dell'accaduto che si susseguono nel giro di soli 3 minuti, ancor prima che la giovanissima vittima fosse trasportata in elisoccorso all'ospedale di Aosta. Un altro dettaglio sconcertante riguarderebbe poi una frase rivolta dalla stessa al marito mentre i medici tentavano di rianimare il piccolo. "Mi aiuti a farne un altro?", avrebbe detto a Stefano sull'eventualità di mettere in cantiere un altro figlio. Inoltre il rinvenimento sulla scena del crimine del pigiama e di un paio di zoccoli insanguinati, abitualmente utilizzati da Annamaria, accendono i sospetti sul suo conto. In questo scenario complesso e articolato matura l'ipotesi di un figlicidio: il 14 marzo 2002 la Franzoni finisce in manette.

Il rebus del pigiama

Subito dopo l'arresto, la difesa passa al contrattacco. L'avvocato Carlo Federico Grosso, primo legale della Franzoni, presenta una perizia che conferma la versione fornita dalla sua assistita agli inquirenti circa il rebus del pigiama. La donna sostiene che fosse appoggiato sul piumone, che lo avesse tolto prima di accompagnare il figlio Davide alla fermata dello scuolabus. Quindici giorni dopo, il tribunale del Riesame di Torino annulla l'ordinanza del gip di Aosta. I giudici torinesi danno ragione alla difesa: il pigiama potrebbe non essere stato indossato dall'assassino al momento del delitto. Anche le tracce ematiche rinvenute sugli zoccoli non rappresentano una prova schiacciante di colpevolezza. Annamaria torna in libertà, dalla sua famiglia. Ma siamo solo all'inizio di un nuovo girone infernale.

L'arrivo dell'avvocato Taormina

Nel giugno del 2002 il caso riesplode. La Cassazione annulla l'ordinanza del Riesame di Torino. A quel punto il papà di Annamaria chiama in causa uno dei penalisti più arrembanti e affermati del panorama italiano. Si tratta dell'avvocato Carlo Taormina, deputato di Forza e Italia e sottosegretario agli Interni. Ora si lotta su due fronti. "L'unico merito che mi riconosco è quello di aver capito che se non avessi combattuto la battaglia della difesa della mia assistita su due fronti, quello giudiziario con l'argomento giudiziario e quello mediatico con l'argomento mediatico, io non sarei andato da nessuna parte - spiega l'avvocato, ormai ex difensore della Franzoni a ilGiornale.it - Ogni volta che veniva attaccata, io non mi risparmiavo e la difendevo a spada tratta”. Tra la procura di Aosta e l'avvocato Taormina quindi si apre uno scontro a colpi di perizie.

Quella strana telefonata al 118

Il 16 settembre del 2003, al tribunale di Torino, si svolge l'udienza preliminare del processo di primo grado. La Procura porta in aula tutti gli elementi raccolti in fase d'indagine per ricostruire l'omicidio. Sopra tutti, ve n'è uno molto importante: una telefonata che Stefano Lorenzi avrebbe fatto al 118 pressappoco all'alba del 30 gennaio. In quella chiamata, avvenuta poche ore prima dell'omicidio di Samuele, Stefano chiede l'intervento di un medico per sua moglie. Annamaria dice di sentirsi anenergica, senza forze nelle braccia e nelle gambe, e di avere un senso di oppressione al petto. Da lì la scoperta che la donna soffrisse di disturbi d'ansia e angoscia. "La Franzoni aveva delle problematiche legate in particolare all'angoscia. - chiarisce la dottoressa Bruzzone sul punto - La mattina stessa, lei segnala una situazione di grave disagio chiamando la guardia medica. È evidente che sta male. Probabilmente un capriccio di questo bimbo, più che normale e che in un'altra situazione avrebbe gestito in tranquillità, quella mattina è diventato una sorta di detonatore psicologico che ha fatto scattare una scarica di violenza inaudita".

Una nuova ricostruzione

Alla luce di nuove disamine effettuate dai Ris, l'accusa stabilisce una nuova ricostruzione della dinamica omicida. Alle ore 7.50 di quel tragico lunedì, Annamaria avrebbe fatto colazione col figlio Davide, il primogenito di 9 anni. A un certo punto, avrebbe sentito Samuele, che intanto si era seduto sulle scale che dividono la zona notte dalla zona giorno, piangere a dirotto. La Franzoni lo avrebbe preso in braccio e portato in camera da letto per tranquillizzarlo. Ma il pianto del bimbo non si sarebbe arrestato: è in quel contesto che, secondo l'accusa, è scattata la furia omicida. Il piccolo viene dapprima aggredito di fianco al letto. Poi la mamma si sarebbe messa a cavalcioni sul corpicino colpendolo ripetutamente alla testa con un oggetto contundente. Forse un mestolo ornamentale o un oggetto metallico. L'arma del delitto non è mai stata ritrovata. "Questo è un altro elemento che conferma quanto fosse lucida quando ha colpito il ragazzino - spiega la criminologa – Per liberarsi nell'immediatezza di un fatto di quella portata, facendo sparire l'arma del delitto, significa che ha conservato un'ottima lucidità".

Le intercettazioni sospette

In fase di indagine vengono raccolte una lunga serie di intercettazioni che riguardano la Franzoni. Due in particolare non passano inosservate. In primis la conversazione avvenuta con il marito in cui immagina l'esecuzione del delitto. "Quella è una intercettazione chiave – spiega la dottoressa Bruzzone – Lei parla con il marito raccontando per filo e per segno il delitto, anche passaggi che sono tutt'altro che facili da immaginare. Questo testimonia la piena consapevolezza di quello che è accaduto ma proietta la responsabilità di quanto lei ha fatto sulla vicina di casa. Quella interpretazione, a mio modo di vedere, è una sorta di confessione per interposta persona". C'è poi un'altra telefonata, quella fatta all'amica Ada Satragni. "Non so cosa mi è succ...", dice Annamaria. Poi subito dopo si corregge: "Non so cosa gli è successo" . Un lapsus? "Sia la chiamata con la Satragni che tutta una serie di comportamenti che lei mette in campo successivamente testimoniano la sua consapevolezza dell'accaduto – continua la criminologa – La Franzoni non ha dimenticato, come invece ipotizzano i periti di secondo grado. La Franzoni non ha agito in una sorta di intervallo temporale di sonnambulismo. È una donna che ha ucciso questo ragazzino con un dolo d'impeto devastante, dolo certificato anche dalla modalità con cui lo ha colpito ripetutamente al volto e al capo. Dopodiché non è riuscita ad ammettere la sua responsabilità preferendo rifugiarsi in questa presunzione di innocenza che si è frantumata davanti alle prove schiaccianti a suo carico".

La condanna a 30 anni per omicidio

Il giudice del processo di primo grado ordina nuove superperizie. Per analizzare in maniera approfondita la scena del crimine, viene interpellato anche l'esperto tedesco Hermann Schmitter, che in buona sostanza conferma l'esito degli esami condotti dai Ris. L'assassino di Samuele avrebbe indossato i pantaloni del pigiama e gli zoccoli di Annamaria Franzoni. I pochissimi dubbi riguardano solo la casacca. Fatto sta che l'indagine condotta dal perito risulta determinante ai fini processuali. Il 19 luglio del 2004, Annamaria Franzoni viene condannata a 30 anni di reclusione per l'omicidio del figlio.

Cogne Bis

Il 16 novembre del 2005 si svolge il processo d'appello. La Franzoni chiede e ottiene di aprire il dibattimento al pubblico. L'accusa richiede una nuova perizia psichiatrica ma l'imputata rifiuta di sottoporsi a un ennesimo test continuando a professarsi innocente. "Ci fu un momento nel processo di secondo grado, nel quale fu fatto capire che si sarebbe potuto risolvere il problema con un'indulgente perizia psichiatrica - spiega l'avvocato Taormina - E io confermo a distanza di anni che la Franzoni si rifiutò rivendicando la sua innocenza. 'Io non ho bisogno di salvarmi con il riconoscimento di una infermità mentale, io sono assolutamente capace di intendere e volere', disse infatti lei all'epoca".

Dopo sei lunghi mesi, nel giugno del 2006, gli esperti incaricati dalla corte concludono che la Franzoni sarebbe stata vittima di uno “stato crepuscolare orientato”. “Durante lo stato crepuscolare – spiega a ilGiornale.it il dottor Renato Ariatti, psichiatra che periziò la Franzoni successivamente alla conclusione del processo – il campo di coscienza (attenzione, percezione, eccetera) si riduce notevolmente rimanendo concentrata su pochissimi contenuti di pensiero, molto ristretti, polarizzati su pochissimi aspetti. Ragion per cui ci si muove apparentemente come una persona ancora adeguata (posso uscire, andare a prendere l'autobus, eccetera), ma in realtà il livello di presenza rispetto alla realtà circostante è alterato”. Per i periti incaricati, il giorno del delitto, la Franzoni può aver ucciso il suo bambino ma l'avrebbe rimosso. “In linea generale, la rimozione di episodi ad altissimo impatto traumatico è teoricamente possibile – conclude lo psichiatra – ma è rara, molto rara. Ed è ancora più raro che ci sia una cancellazione totale dell'accaduto”.

“Non sono pazza e non ho ucciso mio figlio”

“Non mi stancherò mai di dire che non ho ucciso mio figlio - dice Annamaria all'esordio dell'udienza - Non è nella mia mente che troverete il colpevole. Non potrò mai confessare ciò che non ho mai fatto”. Taormina lascia la difesa della donna che viene affidata invece all'avvocato d'ufficio Paola Savio. Secondo il nuovo legale, Samuele è stato ucciso con un sabot con carrarmato mentre la donna accompagnava il figlio Davide alla fermata dello scuolabus. Ma la ricostruzione non convince i giudici. Il 27 aprile 2007, la Franzoni viene condannata a 16 anni di reclusione ma non andrà in carcere. Vengono esclusi i rischi di fuga e la pericolosità sociale. Il 21 maggio 2008 la Prima sezione penale della Corte Suprema di Cassazione conferma la sentenza d'appello. La sera stessa la Franzoni viene arrestata dai carabinieri a Ripoli Santa Cristina e condotta in carcere. Grazie all'indulto ottiene uno sconto della pena di 3 anni. Il 10 ottobre del 2013 guadagna la semilibertà e il 2 luglio 2019 Franzoni ritorna definitivamente a casa, da suo marito Stefano e dai figli Davide e Gioele, quest'ultimo nato a un anno della morte di Samuele.

Annamaria Franzoni: mamma killer o vittima?

Il caso dal punto di vista processuale si è risolto. Ma tanti, forse troppi, restano i dubbi relativi alla vicenda. Su tutti un interrogativo: Annamaria, che non ha mai confessato di aver ucciso Samuele, è colpevole o innocente? "Assolutamente innocente", conferma l'avvocato Taormina fugando ogni sospetto sulla sua ex assistita. "Non ha mai confessato e mai lo farà - afferma la Bruzzone - Perché è un delitto per cui lei, per tutta una serie di caratteristiche di personalità che sono state ben tratteggiate dal professor Ugo Fornari, è riuscita a non ammettere mai il fatto. In buona sostanza ha separato il vissuto di colpa nei confronti di quello che ha fatto rispetto alla circostanza.

Lei è pienamente consapevole di quello che ha fatto ma, per il tipo di personalità che ha e per il tipo di appoggi di natura familiare di cui ha beneficiato, non ha mai avuto l'impulso a confessare quello che è accaduto. Che sia stata lei non ci sono dubbi di alcuna sorta".

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