Detenute rom nelle ville di lusso all'Eur: la rabbia dei residenti

I residenti del quartiere romano dell'Eur sono sul piede di guerra per il progetto del Comune che vorrebbe sistemare sei detenute rom con figli in due ville extra lusso. L'accusa di Brunetta: "iniziativa lodevole rovinata dalla scarsa trasparenza"

L'interno di una delle due ville
L'interno di una delle due ville

I cittadini dell’Eur sono sul piede di guerra. Non vogliono che le due ville di via Kenya diventino una “succursale di Rebibbia” ospitando le sei detenute, presumibilmente tutte rom, che proprio qui dovranno essere accolte con i propri figli nell’ambito del progetto “Casa di Leda”. Prima di tutto per motivi di sicurezza che, secondo i residenti, non sarebbe possibile garantire sul posto. “Continuano ad entrare e uscire da una delle due ville dei detenuti che vanno a mettere a posto e a pulire: intorno ci sono case di pregio di famiglie che assolutamente non erano state preparate a vivere una situazione di questo tipo e sono in molti casi spaventate”, aveva dichiarato al quotidiano romano il Tempo, Paolo Lampariello, presidente di uno dei comitati di quartiere.

Antonello Properzi, residente proprio accanto ad una delle due ville, racconta, infatti, a ilGiornale.it, come è cambiata la sua vita e quella della sua famiglia da quando il Comune ha dato il via al progetto: “all’improvviso dietro la piccola siepe che separa le nostre abitazioni sono comparsi i detenuti provenienti dal carcere di Rebibbia, accompagnati dalla polizia penitenziaria e hanno tolto completamente la privacy e la tranquillità a mio figlio di undici anni, che per dieci giorni è stato costretto a vedere manette, pistole, divise, carcerati che lavorano, o che accendono il barbecue e si preparano le salsicce”. Properzi si riferisce ai detenuti in regime di art. 21, che lo scorso 13 gennaio, come stabilito dalla determinazione dirigenziale del comune di Roma, si sono recati sul posto accompagnati dalla penitenziaria per pulire gli esterni dei due immobili. “Non siamo stati avvertiti da nessuno di quanto stava per accadere”, lamenta Properzi, “tutto è stato fatto all’insaputa di cittadini e residenti”. Le associazioni e i comitati di quartiere si sono inoltre lamentati del fatto che non sia stata presa in considerazione alcuna alternativa per la riqualificazione delle due ville, che ad esempio, secondo i residenti, sarebbero state perfette per ospitare i genitori dei bambini ricoverati in lungodegenza nel reparto oncologico del vicino ospedale Sant’Eugenio. Ma nessun’altra ipotesi, tantomeno questa, è stata valutata dall'amministrazione.

In ogni caso, i bambini non c’entrano nulla. Il punto sollevato è, al contrario, quello della scarsa trasparenza dell’operazione. È questo che viene contestato dai residenti, dalle associazioni e dalla politica. “Non possiamo essere soddisfatti di chi ha mortificato un progetto bellissimo, per incapacità politica, mala gestione, mancanza assoluta di trasparenza, totale inadempienza del dovere di informare residenti e cittadini”, ha affermato in aula Brunetta, intervenendo dopo la replica del sottosegretario agli Esteri del governo, sull’interpellanza urgente presentata sul tema da Forza Italia. Tutte cose, che, sempre secondo Brunetta, “sono anche alla base di mafia capitale", dove "c’erano iniziative sociali assolutamente condivisibili che sono diventate fatti criminali, proprio perché non si sono rispettate le regole”. Bloccare il progetto e ripartire da zero, facendo chiarezza su tutti i passaggi, indire una gara pubblica per l’utilizzo delle due ville, è quindi la proposta di Forza Italia, per evitare di ritrovarsi, afferma Brunetta, fra qualche anno, dinanzi ad un nuovo processo per “mafia capitale bis”. Ben vengano le iniziative come questa, dunque, per il capogruppo di FI alla Camera, “ma contraddistinte dal rispetto di tutte le parti in causa”, e “delle garanzie necessarie sia al reinserimento della categoria dei detenuti citati, sia soprattutto alla serenità e alla sicurezza dei cittadini”.

A replicare, dalle colonne del Corriere della Sera, è Francesca Danese, l’ex assessore alle Politiche Sociali di Roma Capitale, che rivendica la paternità del progetto, sottolineando come “tutto sia stato fatto secondo le regole” e come, riguardo una delle irregolarità nel progetto, ovvero quella relativa alla destinazione d’uso ufficio di uno dei due immobili, non compatibile quindi con l’accoglienza delle detenute, il cambio di destinazione sia stato “regolarmente richiesto” dal Comune. Nessun problema, per la Danese, neanche sul piano della sicurezza o della svalutazione degli immobili.

"La casa famiglia non è ancora aperta", scrive la Danese sul Corriere, "ospiterà sei mamme con i loro bambini: Roma diventa così la prima città in Italia che realizza un progetto che rispetta i diritti dei bambini e offre alle mamme una concreta possibilità di recupero per un futuro reinserimento nella società, tutto questo in ottemperanza ad una legge nazionale". E non c'è nessuna cooperativa di mezzo, sottolinea l'ex assessore. Altro che “mafia capitale”, insomma, progetti come questo per la Danese sono “gli anticorpi di cui Roma ha bisogno”.

Ma le dichiarazioni dell’ex assessore Danese, per l’ufficio stampa dell’On. Brunetta, sentito da ilGiornale.it, “non chiariscono nulla”. “È comprensibile che lei difenda il suo operato”, ci dicono, “ma non dovrebbe avere più voce in capitolo visto che non è più assessore”. A schierarsi con i residenti di via Kenya c’è anche Alfredo Iorio, candidato sindaco di Roma per Movimento Sociale e Forza Nuova. “Il problema non è la destinazione d’uso o una delibera fatta male, ma il rischio che dietro a questa storia ci siano le solite cooperative che sfruttano il disagio sociale per fare profitto: e questa è una logica che secondo noi va sradicata da Roma”, ha detto Iorio a ilGiornale.it.

I residenti e i comitati di quartiere, per ora, quindi, non sembrano essere

intenzionati a scendere dalle barricate. Anzi, guidati dai comitati e dalle associazioni, hanno già presentato un esposto in Prefettura e a breve presenteranno anche un ricorso al Tar, per cercare di bloccare il progetto.

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