Dieci anni fa, in questi giorni e per qualche settimana a seguire, eravamo tutti Charlie Hebdo. Tutti. Eravamo Charlie Hebdo sulle pagine dei quotidiani, dei siti e dei settimanali; lo eravamo sui nostri status di Facebook e nei nostri cinguettii sull'allora Twitter; lo eravamo nelle piazze e nei cortei dietro alle bandiere e agli striscioni che inneggiavano alla difesa sempre e comunque della libertà di parola, ma soprattutto lo eravamo protetti dai blindati della polizia e dai cordoni della celere. Dieci anni fa - lo diciamo per chi non lo ricordasse e a giudicare dai fatti, purtroppo, sembrano essere molti -, il 7 gennaio 2015 alle ore 11.30 un commando composto da due uomini armati di Kalashnikov faceva irruzione nella sede del settimanale satirico francese durante la riunione di redazione. Dodici morti. Una carneficina nel nome di Allah, un attacco alla libertà di informazione, alla satira, alla democrazia e all'Occidente tutto. L'attentato terroristico più grave compiuto in Francia dal 1961 fino a quel momento.
L'Europa, in quei giorni, caracolla sotto choc e poi si raduna attorno a quel che resta della redazione al grido di «Je suis Charlie». Un grido fortissimo, allora. Eppure oggi, a dieci anni di distanza, non si ode neppure più l'eco di quell'affermazione. Gli anni hanno sbiadito quell'orgoglio e cementificato la paura. No, non si vedono più tanti Charlie in giro e forse non lo è stato davvero neppure chi una volta sosteneva di esserlo. Tutto è postura da social, tutto è mangime per gli algoritmi. Il terrorismo islamico esiste ancora e il fanatismo è tornato a serpeggiare per le strade del Vecchio Continente. Solo che in Occidente c'è chi è sempre meno disposto a denunciarlo e financo ad ammetterlo. Dieci anni dopo, alla censura islamista si è aggiunta, e in taluni casi sostituita, l'auto censura del politicamente corretto: la libertà di parola è sempre più compressa nel perimetro claustrofobico delle ossessioni woke e la satira tollerata solo quando vellica il potere senza disturbarlo troppo.
Non solo «Non siamo più Charlie Hebdo», ma per gli standard culturali attuali, il settimanale satirico sarebbe da bollinare come impubblicabile perché islamofobo, omofobo, misogino, blasfemo, pornografico o lesivo di qualsivoglia categoria o minoranza. Dieci anni dopo oltreché dell'islam dobbiamo avere paura anche di noi stessi.
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