"Differenze a pochi chilometri..." Così i morti dipendono dai mutanti

Il numero dei morti per Covid dipende dalla letalità delle nuove varianti? "Può esserci una differenza anche a pochi chilometri di distanza", rivela l'esperto

"Differenze a pochi chilometri..." Così i morti dipendono dai mutanti

Le varianti del virus sono un'incognita e la loro diffusione incide, più o meno significativamente, sul numero dei morti. È quanto emerge, in estrema sintesi, dall'osservazione della curva epidemiologica che, complice l'interferenza dei "mutanti", comincia a profilare uno scenario di ennesima allerta. Ma se i dati fanno segnare un picco vertiginoso di decessi - centomila in un anno, 376 nelle ultime 24 ore - l'esperienza dei medici impegnati nei reparti Covid rivela una difformità casistica tutt'altro che trascurabile. La percezione comune a molti camici bianchi è che le nuove mutazioni siano più letali del "nuovo Coronavirus" (il Sars-Cov-2 originario) e che il corso degenerativo dell'infenzione sia molto più rapido. "La situazione può essere diversa a poche centinaia di chilometri di distanza, a seconda dei mutanti", spiega alle pagine dell'Adnkronos Salute Francesco Blasi, professore di Malattie dell'apparato respiratorio all'università degli Studi di Milano e direttore della Pneumologia (ora Covid) del Policlinico del capoluogo lombardo. "Oggi il malato ti scappa in un tempo molto più veloce. Un giorno ha parametri da dimissione, quello seguente viene intubato", spiega invece al Corriere della Sera il professor Stefano Nava, che da anni dirige i reparti di pneumologia e sub-intensiva dell'ospedale Sant'Orsola di Bologna. Qual è la verità?

Di Covid si muore più adesso di prima?

Tutto quello che sappiamo delle varianti è che si diffondono molto più rapidamente rispetto al virus originario facendo capolino da una parte all'altra dello Stivale in tempi record. Dalle evidenze sinora raccolte, sembra che i mutanti siano responsabili di circa il 60/70 per cento dei casi d'infenzione nel nostro Paese ma non esistono dati incontrovertibili riguardanti la letalità. "In questo momento, per quello che percepiamo noi a Milano nel nostro ospedale, non ci sembra che i malati Covid muoiano più in fretta. - dichiara il professor Blasi - Questa, ormai si sa, è una malattia sicuramente strana: per due o tre giorni può capitare che il paziente sembri stare bene e poi all'improvviso c'è un peggioramento acuto. Al momento però non ho percezione di particolari differenze rispetto a prima su questo particolare aspetto. Certo io ho una visione su quello che succede a Milano, e l'arrivo di varianti del virus è sempre un incognita importante".

L'effetto boomerang della variante inglese

Uno studio di prevalanza condotto in Emilia Romagna, ad oggi la Regione più flagellata dalla nuova scia di contagi, ha provato un'ampia diffusione della cosiddetta “variante inglese” del Coronavirus (altrimenti nota come mutazione B117). Dei 204 campioni su cui è stata effettuata l’analisi, raccolti tra Piacenza e Rimini il 4 e 5 febbraio, 57 sono risultati positivi alla, pari al 27,9%. Su 9 campioni (213 era il numero totale di quelli raccolti) non è stato possibile, invece, procedere per insufficienza di materiale organico. La prima analisi dei campioni si è basata sul test inverso, cioè un’indagine molecolare che non riconosce la variante inglese e in caso di esito di negativo indica quindi una verosimile positività, e aveva individuato 66 possibili casi. Dopo questo primo screening si è quindi passati agli esami di sequenziamento del virus, più più approfonditi e che possono richiedere fino a 48 ore per ogni batteria di campioni: il risultato finale è stato di 57 casi confermati come variante VOC202012/01, questo il nome scientifico della variante inglese: 22 a Bologna, 4 a Ferrara, 13 a Modena, 8 a Parma, 3 a Reggio Emilia e 7 in Romagna. L'indagine, condotta dal team del professor Vittorio Sambri, direttore dell'Unità Operativa Microbiologia del Laboratorio Unico di Pievesestina dell'Ausl Romagna, trova riscontro nelle parole dello pneumologo Stefano Nava che, nelle ultime settimane, ha registrato un incremento sensibile di pazienti necessanti ospedalizzazione in terapia intensiva. "Ho tutti e 34 i posti letto occupati. Ho 'rubato' un piano ai miei colleghi", rivela in un'intervista a il Corriere della Sera.

Cosa cambia da una Regione all'altra?

Diversa, invece, la situazione nel capoluogo lombardo dove la rete ospedaliera sembra reggere discretamente il contraccolpo della nuova ondata di casi infettivi. Dunque, la domanda è: cosa cambia da una Regione all'altra? "Se in un territorio è al 60% la variante inglese, che sembra agire più sulla diffusibilità dell'infezione, - spiega il professor Blasi - si crea una determinata situazione, che sarà diversa da quella di un'altra zona in cui magari agisce di più un'altra variante, che potrebbe esitare in una maggiore gravità.

Il risultato è che a duecento chilometri di distanza può esserci un quadro completamente diverso dal nostro". Poi, però, avverte: "L'arrivo di varianti può essere un problema importante anche nella gestione ospedaliera".

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