«Vedi, cavo, Calvino è così fantastico... Tolkien è solo fantasy». «Hai ragione, cava, Calvino poi è inclusivo, fluido... Tolkien, cosa vuoi, è sempre stato fascio...».
Dicono che il nuovo gioco di società della più bella Roma culturale, quella delle ville Liberty e delle serate collettive sul divano davanti a Propaganda Live - «Te possino», «Daje», «Stacce», «'na cifra...» - sia disprezzare, con un pizzico di marxismo strutturalista, la mostra di Tolkien, così volgarmente meloniana, rispetto a quella di Calvino: «Impevdibile...». La prima alla Galleria d'arte moderna («Non capisco cosa c'entra»), la seconda alle elegantissime Scuderie del Quirinale. Una «l'ha voluta la Meloni!», l'altra promossa da Mattavella, vuoi mettere? La prima costata 250mila euro («Capisci come spvecano i soldi pubblici?»), l'altra 600mila («Comunque, spesi bene»).
E così mentre la nuova Destra di governo e d'egemonia non sembra consapevole della grandezza culturale che deve maneggiare, la vecchia Sinistra di rivalsa e di livore si sta adoperando in un basso regolamento di conti: la pino-insegnizzazione di chiunque osi misurarsi con la sua maestà intellettuale: «Quando la destra vuol fare cultura al massimo tira fuori Tolkien e Pino Insegno...».
«Scusi, Lei è già stato pino-insegnizzato?».
Ma poi: vuoi mettere l'allegoria di un Potere «dimezzato» e il Cavaliere inesistente, con quegli scappati di casa di Frodo, Gandalf e un brillocco «che pe' me è pure 'na patacca»?
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