Il drone-rebus che stana i russi

Il missile "Palyanytsia": è il nome del pane che le spie di Mosca non sapevano pronunciare

Il drone-rebus che stana i russi
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I nomi nascondono ragioni antiche. È una notte opaca e sul cielo di Toropets si vedono solo le luci di uno sciame di droni. Per arrivare fino a lì hanno viaggiato per quasi 500 chilometri. Il bersaglio è l'arsenale della città, una massiccia struttura che si ritiene quasi indistruttibile, buona per resistere perfino all'apocalisse. È solo una leggenda. Lì dentro c'è però un deposito di armi da far invidia ai narcotrafficanti: missili tattici Iskander e Tochka-U, bombe intelligenti e munizioni di artiglieria. È stato costruito nel 2015, in vista di tempi inquieti, quelli che poi sono arrivati. È che i russi non si aspettano mai il peggio. C'è sempre un sorso di ottimismo nel profondo pessimismo che amano contrabbandare. I droni puntano e esplodono. Non resterà più nulla. Non è facile trovare la notizia sulle pagine di informazione russa. Ci sono cose che è meglio non far sapere. Un lamento arriva solo dal patriarcato di Mosca, che denuncia i danni a quindici chiese, senza dire il motivo, ma come segno della blasfemia dei senzadio di Kiev. È l'iradiddio che non si vuole raccontare. È una bestemmia senza particolari.

Non sono destinati a capirsi. Il dramma ormai è davvero tutto qui. La distanza è nei segreti della lingua. Questi missili a basso costo e grande efficacia sono stati battezzati come Palyanytsia. È il nome di un tipo di pane. È una pagnottina con la crosta che disegna una croce al centro. È il segno che si lascia prima della cottura. È una speranza. È una preghiera. È un così sia. Palyanytsia però è anche un test. Il pane degli ucraini non è lo stesso dei russi. È il pane che serve a riconoscerti. È la parola che loro, gli altri, non sanno dire. È la parola che svela il nemico o la spia del potere, che occupa, opprime, delegittima, calpesta e affama. È su quella mollica a trabocchetto che si incespica, si cade, ci si tradisce. È la parola d'ordine di chi cospira e resiste per reclamare la propria libertà. È una equazione semplice, ma vale come un algoritmo. La lingua per chi non è ucraino si ingarbuglia e segna quella differenza che con altre sillabe non viene messa in discussione. La grande e la piccola Russia smascherate da un pezzo di pane. Questa storia la racconta lo scrittore russo-canadese Grigory Svirsky in La madre e la matrigna, dove raccoglie le memorie di Moses Stromwasser, un veterano tedesco del fronte orientale nella Seconda guerra mondiale. I poliziotti galiziani per scoprire i russi li costringevano a dire palyanytsia e la voce diceva polanitsa. Le parole come le armi possono essere usate per milioni di fini diversi. Non ti assolvono o ti condannano a priori. Non ti dicono da quale parte della storia devi stare. Le usi per proteggerti o per attaccare o per scegliere da quale parte del confine sia più efficace difenderti. Le armi e le parole ti dannano o ti salvano.

È quello che capiterà a chi dal Sud, secoli dopo, saliva da emigrante, da emarginare. È la cadrèga da cabaret, la sedia che ti smarrisce, partita dal greco e sopravvissuta a Milano.

L'antidoto della pronuncia è pratica di secoli e secoli. È una di quelle storie che resiste dal 30 marzo del 1282. La scena è Palermo. È il lunedì dell'Angelo e si apre, verso sera, la rivolta che fu appunto battezzata come Vespri Siciliani. Tutto cominciò con un soldato di nome Druet che palpeggiò una nobildonna siciliana con la scusa di una perquisizione. I siciliani per svelare le spie francesi si affidano ai «ciciri», cioè ai ceci. Gli angioini con tutte quelle «c» non si raccapezzavano, uno scioglilingua crudele per chi non è nato e cresciuto sull'isola. Come ci si difende dalle spie? Il metodo in fondo viene dalla Bibbia. È la vittoria del misterioso popolo dei Gileaditi che conquistarono i guadi del Giordano, mettendo in fuga gli Efraimiti. Quando uno dei fuggitivi cercò di scappare, attraversando il fiume, gli uomini di Gilead chiesero: «Sei un Efraimita?». La risposta fu naturalmente un falso «no». «Sono uno di voi». E qui arriva la prima parola svela nemici. «Allora facci sentire come dici Shibboleth». L'Efraimita bofonchia con l'accento sbagliato. Fregato.

Neppure Dio lo può salvare, anche perché nessuno sa come sia nato questo giochetto. Shibboleth comunque significa fiume. Non era facile da ignorare sulle rive del Giordano.

È da sempre che l'umano si detesta o riconosce nelle pieghe delle parole. La guerra si nasconde sotto un accento sbagliato.

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