Le armi, l'acciaio e le malattie. Sono questi i tre fattori che, secondo l'antropologo Jared Diamond, hanno plasmato la storia dell'uomo e che hanno dato il titolo a un fortunato libro pubblicato in Italia da Einaudi. Un esempio? La conquista del Nuovo mondo. Quando gli spagnoli arrivarono in America si portarono dietro non solo i cavalli e le armi da fuoco - sconosciuti alle popolazioni indigene - ma anche una sfilza di malattie, come il vaiolo, la peste, la salmonella, la varicella, la scarlattina e l'influenza. Furono proprio questi morbi a spazzare via il 90% degli autoctoni e a permettere l'avanzata degli spagnoli che, nel giro di pochi decenni, si trovarono a governare un impero senza confini. Per Madrid, anche se indirettamente, le malattie rappresentarono una opportunità. Per gli indigeni, lo sterminio.
Circa duecento anni prima, la peste, aveva sterminato tra i 20 e i 25 milioni di persone, circa un terzo della popolazione mondiale e continuò a falcidiare e ad uccidere fino alla fine del XIX secolo, quando, almeno apparentemente, si ritirò. Altre malattie erano però in agguato. Ebola, la cui ultima epidemia si è solo recentemente spenta in Africa, è apparsa nel 1976, mentre l'Aids ha cominciato ad essere un problema a partire dagli anni Ottanta.
Piccoli punti che però ci raccontano di come i morbi facciano capolino nella Storia e accompagnino l'uomo - soprattutto quello occidentale, nota Diamond - per tutta la vita. Quella del Covid-19 non sarà né la prima né l'ultima pandemia che l'umanità dovrà affrontare, come ha più volte ripetuto David Quammen, autore di Spillover (Adelphi). Tutto questo per dire che, piaccia o meno, le malattie fanno parte della storia dell'uomo. Con alcune di esse abbiamo imparato a convivere mentre con altre dobbiamo ancora farlo.
Secondo alcuni, il Covid-19 rimarrà con noi a lungo e pertanto l'unica cosa da fare è quella di imparare a gestirlo. Come? Forse il primo passo in questa direzione sarebbe quello di piantarla con i bollettini. L'idea, seppur con un'altra angolazione, è stata lanciata da Massimo Fini su Il Fatto Quotidiano negli scorsi giorni. "Siamo in guerra, si dice, contro il Covid19. È proprio questo 'stato di guerra' che ha reso possibile al Governo, peraltro condizionato fortemente nelle sue scelte non solo nel campo medico ma anche, indirettamente, economico, quindi in un area molto vasta, da un gruppo di tecnici (Ma non si era sempre detto che un governo di tecnici o informato dai tecnici era il contrario della Democrazia? Mah) di calpestare una serie di diritti costituzionalmente garantiti a cominciare da quello della libera circolazione dei cittadini inserito nel titolo I, Rapporti civili (art. 16 Cost.)".
In guerra, tutto (o quasi), è concesso alla politica, tanto che, nota Fini, i romani avevano ipotizzato la figura del Dictator. Il più celebre fu Lucio Quinzio Cincinnato che fu chiamato al comando mentre era impegnato nei campi: "Egli - racconta Eutropio - trovandosi al lavoro impegnato nell'aratura, si deterse il sudore, indossò la toga praetexta, accettò la carica, sconfisse i nemici e liberò l'esercito". Quella del dittatore era una carica a tempo limitato: sei mesi. Poi basta. Oggi non è così. Non sappiamo ancora quanto durerà l'emergenza - oggi la Russia ha esteso l'obbligo di mascherina fino ai primi mesi del 2022 - e se ci saranno altre ondate. Ma ha ragione Fini quando scrive che, se siamo in guerra, allora varrebbe la pena appplicarne anche le leggi e i diritti: "Uno dei più importanti è il diritto alla censura. Per la verità il primo ad autocensurarsi dovrebbe essere proprio il governo politico-tecnico. Non si capisce che senso abbia dare ogni giorno l’elenco dei morti per Covid se non quello di terrorizzare una popolazione già terrorizzata. Lo stesso accadrebbe se si desse ogni giorno la lista dei morti per tumore che attualmente, in Italia, sono circa 180mila l’anno, cioè molti di più dei morti per Covid, anche se per completare questa macabra conta bisognerà aspettare Febbraio quando, almeno ufficialmente, iniziò la pandemia. La censura dovrebbe colpire epidemiologi, infettivologi, virologi e altri specialisti, chiamiamoli così, che sostengono una linea diversa da quella del Governo o la mettono in dubbio, mandando così in ulteriore confusione i cittadini. In tempo di guerra questo si chiama 'disfattismo' e i disfattisti finiscono dritto e di filato in gattabuia".
Se davvero siamo in guerra dovremmo iniziare a parlare come se la volessimo vincere, certamente senza indorare la pillola ma neanche sparandoci addosso da soli. Anche perché uno stato continuo di stress non fa altro che abbassare le difese immunitarie e aprire il varco a virus e malattie talvolta più pericolosi del Covid-19.
Certe informazioni, come ci aveva confidato tempo fa il professor Matteo Bassetti, dovrebbero essere a disposizione solamente della comunità scientifica e non gettati in pasto a chiunque. In qualsiasi guerra, infatti, quello che viene chiesto ai soldati semplici è di eseguire gli ordini e possibilmente di vincere, senza preoccuparsi troppo di quanti sono i morti, i mutilati e i feriti.
Quello che invece si chiede a chi è al comando - funzione che, come ha scritto Ortega y Gasset, consiste innanzitutto nell'instradare le persone verso il loro destino - è di portarci alla vittoria e mantenere vivo il lumicino della speranza. Non si può infatti andare all'assalto se non si conserva un briciolo di fiducia di farcela.
È la differenza tra noi - che abbiamo avuto solamente un caso di "proiettile umano" (Pietro Micca) - e i kamikaze giapponesi. Anche di questo il governo dovrebbe tenere conto se vuol vincere davvero questa battaglia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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