Prima il plexiglass ai tavoli, poi il distanziamento e la riduzione di coperti e clienti, dunque le spese periodiche per la sanificazione dei locali e infine la beffa della chiusura anticipata alle 18: è questa l’Odissea del mondo della ristorazione. La categoria, dopo aver sofferto il lockdown della scorsa primavera, subisce ora una nuova stretta e molti ristoranti, così, rischiano di abbassare la saracinesca e non rialzarla più. Dopo il Dpcm di Conte dello scorso weekend la categoria dei ristoratori si è fatta sentire, organizzando manifestazioni e proteste. E c’è chi, a Pesaro, ha sfidato le istituzioni tenendo aperto il proprio ristorante anche di sera, rivendicando il diritto di lavorare e venendo multato dalle forze dell’ordine. [CLICCA QUI PER IL VIDEO]
Abbiamo fatto un giro a Milano e siamo andati a sentire le ragioni di ristoratori, gestori di locali e baristi, messi nuovamente in difficoltà dall’ultima mossa del governo. Il primo imprenditore che abbiamo incontrato è Luigi, chef e proprietario di "da Gigi Hallbar". Con noi si è così sfogato: "Sono sconvolto e senza parole per l’ennesima chiusura che dobbiamo sopportare, soprattutto perché non riesco a capire perché ci hanno fatto fare tutta una serie di adeguamenti e di spese per mettere in sicurezza i locali, per poi bloccarci ancora. Chiudere i ristoranti per una fascia di orario equivale a togliere quel poco di speranza che ci era rimasta per contenere le perdite. Lavorare solo di giorno non è sufficiente, contando anche la riduzione dei clienti a pranzo causa smartworking". Luigi è molto arrabbiato: "Di punto in bianco hanno deciso che noi siamo il problema. A me viene da chiedere a chi ci governo cosa ha fatto per difenderci da questa seconda prevedibile ondata di Covid...". Il suo locale è stato chiuso sei mesi, da marzo a settembre e ora, a due mesi dalla riapertura, e dopo aver ridotto sensibilmente i coperti e il personale, Luigi si ritrova nel tunnel: "Avanti così non possiamo andare. Non abbiamo bisogno di elemosina, ma di leggi, di regole da far rispettare e di aiuti concreti, altrimenti qui falliamo tutti, buttando all’aria decenni di lavoro. E poi cosa dico ai miei figli e ai figli dei miei dipendenti?".
Ci spostiamo di qualche passo ed entriamo nella "Pizzeria da Giuliano", dove intercettiamo Orlando. Gli chiediamo cosa pensa del nuovo decreto ministeriale: "È un Dpcm fatto da incompetenti, perché vorrei sapere cosa cambia tra chiudere alle 18 o alle 23. Prima ci hanno fatto distanziare i tavoli, poi igienizzare il locale e dulcis in fundo ci chiudono? Chi prende queste decisioni non conosce la realtà delle cose. Forse non sanno l’affitto e le tasse arrivano comunque e che noi dobbiamo pagare. Noi stiamo facendo il doppio dei sacrifici e ci è toccato ridurre il personale delle metà visto che lavoriamo il 70% in meno. Ci sentiamo presi in giro e abbandonati: l’arroganza dei politici ci fa arrabbiare, sono fuori dal mondo reale". Quindi raggiungiamo telefonicamente la co-proprietaria, Simona: "Questo Dpcm, ovviamente, non ci piace e noi dobbiamo continuare a fare il possibile e l’impossibile per andare avanti. Gli aiuti arrivati e quelli annunciati non possono certamente bastare. Certo, siamo di fronte a una pandemia e bisogna proteggersi, però ci sentiamo presi in giro: se dal mattino fino alle 18 si può lavorare, perché non si può farlo di sera? Chi di dovere dovrebbe pensare alla situazione disastrosa dei mezzi pubblici, dove le persone sono ammassate". E ancora: "Il problema non si risolve togliendo lavoro alle nostre attività, ma dandoci aiuti concreti e provvedendo a fare anche molti più controlli: chi rispetta le regole deve lavorare, chi fa il furbo deve essere multato. Noi siamo un locale storico e conosciuto, non ho ancora paura di chiudere, però abbiamo dovuto ridurre sensibilmente il personale. E, credetemi, è un qualcosa che fa davvero male".
Un po’ più positivo Marco, che insieme a Morena e Angelo, è socio del ristorante-enoteca "Sotto Sotto". "Noi riusciamo a riempire il locale di giorno, ciò detto non nascondo perplessità sulle nuove regole. C’è una differenza sostanzialmente tra il lavorare a pranzo o a cena: la clientela preferisce la cena. Le persone ora si stanno adeguando e abituando a pranzare fuori e noi, tutto sommato, riusciamo a lavorare bene, anche se nell’incertezza. Noi viviamo per l’ospitalità e costringere le persone ad alzarsi alle 18 non è bello. Sentiamo che il nostro lavoro non è rispettato a dovere".
Lavorare solo di giorno però non basta a tutti, vista l’attivazione dello smartworking che svuota gli uffici e toglie molta clientela ai ristoranti anche all’ora di pranzo, come ci spiega Stefano, socio di "Mu": "La situazione è veramente pesante. A pranzo abbiamo meno afflusso e la sera cerchiamo di tamponare con il delivery, però non basta, non funziona. Cerchiamo di rimanere a galla facendo sacrifici quotidiani, ma andare avanti così non è possibile. Il governo dia un aiuto economico vero e faccia veramente i controlli, lasciando però lavorare chi ha speso soldi per mettersi in sicurezza".
Non tutti, però, la pensano così: un imprenditore, infatti, ci dice le contromosse del governo hanno senso e che servono per salvaguardare il fruttuoso periodo del Natale. È il caso di Pippo, proprietario di "Sciuscià": "Il Dpcm non mi dispiace, anche se tenere aperto a metà non ha molto senso, infatti sono a favore di un lockdown generalizzato per poi riaprire con più tranquillità, salvando in questo modo il periodo di Natale, che per noi tutti è economicamente fondamentale".
La (dura) realtà dei ristoranti
Da Milano alla provincia Monza, dove Simone è proprietario di due locali, "Antigua" e "Bacarà". "Io sono stato il primo a febbraio a dire che dovevamo chiudere, perché la situazione era fuori controllo e la salute deve essere tutelata, anche con scelte drastiche, operate però usando la testa. Adesso, però, se ci chiedono nuovamente di chiudere, chi ce lo chiede deve essere pronto a intervenire e ad aiutarci concretamente, perché noi i costi fissi continuiamo ad averli.
Se non lavoro, come le pago le utenze, come lo pago l’affitto? Che arrivasse la seconda ondata si sapeva: perché non si sono preparati ad affrontarla? C’è (stata) troppa confusione e noi paghiamo il prezzo – come se fossimo noi i responsabili dei contagi – di queste scelte arrabattate...". Dicevamo del ristoratore di Pesaro che, in protesta, ha aperto il proprio ristorante di sera ("La Macelleria"), venendo multato dai carabinieri. Ecco, lo abbiamo contattato. Umberto ci risponde al telefono e ci racconta: "Ho sei ristoranti, quarantadue dipendenti e in tutti i miei locali rispettiamo il protocollo: per quale ragione non dovrei lavorare? Se faccio novanta persone a pranzo perché non le posso fare di sera. Il Dpcm è stato fatto con i piedi. Mi sento preso in giro e preso di mira da un governo di incompetenti che non coglie la gravità di questa enorme crisi sociale ed economica. Se andiamo avanti così non dovremo più contare il numero dei contagiati, ma il numero dei cappi al collo all’interno dei ristoranti, delle attività. È un dramma enorme ma non lo capiscono". Chiediamo a Umberto cosa avrebbe dovuto fare il governo e lui ci risponde così: "Avrebbero dovuto chiedere alle attività quale fosse la fascia oraria con maggiore introito e permettergli di tenere aperto nelle ore più redditizie. Ci voleva tanto? E invece parlano di ristori, una cosa ridicola".
Se anche voi siete tra le "vittime" della decisione del governo, raccontateci la vostra storia con una mail a segnala@ilgiornale.it e indicate nell'oggetto "Lavorare è un diritto, riaprite i ristoranti".
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