Roma caput mundi. Oggi e domani sarà così. Ed è giusto esserne compiaciuti. Anche perché grazie al G20 e alla guida autorevole di Mario Draghi riconquisteremo parte del prestigio internazionale bruciato dagli esecutivi a Cinque Stelle. Ma non illudiamoci. Nonostante la presenza di Joe Biden e dei più importanti capi di Stato e governo, con l'eccezione di Vladimir Putin e Xi Jinping, il G20 resta un vertice sostanzialmente anacronistico, inadeguato a cambiare il mondo.
Progettato a fine anni Novanta, quando gli Usa erano l'ultima grande potenza su piazza, il G20 puntava a far accettare ai rappresentanti di gran parte della popolazione e dell'economia mondiale le scelte globali assunte da Washington e dagli alleati occidentali. Ma il mondo a trazione unipolare ha cessato di esistere con l'emergere della Russia di Putin e della potenza cinese. E la fase «multipolare» è diventata «apolare» quando l'irruzione sullo scenario siriano e libico di medie potenze come Qatar, Emirati Arabi e Turchia ha spazzato via l'ultima illusione di un ordine mondiale.
Oggi quel disordine globale è acuito dal progressivo affievolirsi dell'autorità statunitense. Nonostante il grido di «America is back» (l'America è tornata) gli Usa restano incapaci di favorire o imporre intese internazionali. Il Biden arrivato a Roma è un presidente azzoppato in termini di credibilità non solo dal disastro afghano, ma anche dalla difficoltà di far accettare al Paese, e persino al proprio partito, i piani per le riforme sociali e il rilancio dell'economia. Frenato dai guai interni, Biden ben difficilmente guiderà la lotta al Covid su scala globale o i piani di transizione energetica da trasferire al Cop 26 di Glasgow per raggiungere l'obiettivo di zero emissioni nel 2050. Un obbiettivo che fa i conti con una Russia riluttante a rinunciare alle sue principali fonti di reddito, ovvero le esportazioni di petrolio e gas, e con una Cina decisa a bruciare molto più carbone pur di superare l'attuale crisi energetica.
L'assenza di Xi Jinping e di Putin evidenzia del resto la scarsa disponibilità ad accettare le decisioni di un forum considerato la proiezione di scelte assunte a Washington o Bruxelles.
Del resto le divergenze sulle questioni ambientali diventerebbero voragini se si affrontassero punti come il futuro dell'Afghanistan o di Taiwan, inseriti teoricamente nel programma della passerella romana. Una passerella che alla fine eviterà il definitivo crollo solo se il forum rinuncerà all'illusione di cambiare il mondo e accetterà di restare tale.
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