Martina Patti, 23 anni, ha ucciso la figlioletta Elena Del Pozzo, di 5 anni, colpendola alla schiena con un coltello. Poi ha provato a occultare il cadavere in un campo incolto di Mascalucia, nel Catanese, a pochi passi dall'abitazione in cui viveva con la bimba. Subito dopo si è rivolta ai carabinieri denunciando il presunto rapimento della piccola che, a suo dire, era stata prelevata da "tre uomini incappucciati", e uno armato di pistola, all'uscita dall'asilo mentre si trovava a bordo dell'auto assieme alla mamma.
Fin da subito il racconto della donna è stato ritenuto poco credile. Le telecamere di sorveglianza cittadina hanno smentito l'eventualità di un agguato lungo il percorso dalla scuola, in località Piano Trimestieri Etneo, fino a casa. Dopo un pressante interrogatorio, Martina Patti ha confessato il figlicidio, precisando di non ricordare alcunché del delitto. "Non ero io - ha spiegato agli inquirenti - Avevo la mente annebbiata".
"Nella circostanza dell'evento omicida potrebbe esserci stata una completa dissociazione del pensiero dal corpo, una sorta di obnubilamento della coscienza cognitiva", spiega alla redazione de IlGiornale.it il dottor Silvio Ciappi, psicoterapeuta e criminologo che ha periziato Veronica Panarello, la mamma di Lorys Stival, il bimbo di 8 anni ucciso a Santa Croce Camerina il 29 novembre del 2014.
Dottor Ciappi, cosa ne pensa del figlicidio avvenuto a Mascalucia?
"Allo stato attuale dei fatti, e in considerazione delle informazioni trapelate attraverso la stampa, è difficile trarre delle conclusioni. A mio avviso, la vicenda ricorda molto l'omicidio del piccolo Lorys (il delitto di Santa Croce Camerina) in cui Veronica Panarello uccise il figlio con delle fascette da elettricista e gettò il corpo in un canalone".
Analogie tra Veronica Panarello, la mamma di Lorys Stival, e Martina Patti?
"Ravvedo delle analogie nel comportamento di queste due giovani madri: entrambe erano isolate dal contesto sociale. E anche la dinamica del delitto sembrerebbe molto simile. Uso il condizionale perché attualmente, ripeto, abbiamo a disposizione ancora poche informazioni per poter capire realmente cosa è scattato nella mente di questa mamma. Per certo, trattasi di una donna problematica".
Che intende dire?
"A mio avviso, gli stati emotivi manifestati da Martina Patti – fortemente contrastanti – rimandano a un quadro severo di psicopatologia. Verosimilmente, secondo la mia esperienza, siamo di fronte a una persona con un vissuto traumatico. Ciò non giustifica la gravità del gesto ma ci aiuta a comprenderne le dinamiche".
Si è parlato della "sindrome di Medea". Di cosa si tratta?
"Sicuramente è una possibilità. È probabile che la mamma della piccola Elena si sentisse 'minacciata' dalla presenza di un'altra donna nella vita dell'ex marito e padre della bambina. Pertanto, proprio come Medea, nell'atto estremo di trattenere a sé sua figlia, per sempre, l'ha uccisa. Ma è solo una ipotesi perché potrebbero essere intervenuti altri fattori".
Cioè?
"Non è da escludere che Martina Patti abbia riversato sulla bimba sentimenti di rabbia, rancore e frustrazione. Sembrerebbe, almeno da quanto si è appreso sinora dai media, che avesse delle reazioni anche violente con la figlioletta. Forse riteneva che la bambina fosse di ostacolo per il suo futuro, all'eventualità di trovare un nuovo compagno o all'affermazione professionale".
Nel corso dell'interrogatorio Martina Patti ha detto di "non ricordare" molti dettagli dell'omicidio. È credibile?
"Penso di sì. Nella circostanza dell'evento omicida potrebbe esserci stata una completa dissociazione del pensiero dal corpo, una sorta di obnubilamento della coscienza cognitiva. Il corpo ha agito in maniera distaccata dalla mente mettendo in atto degli automatismi".
Perché ha avvolto il cadavere della piccola Elena in cinque sacchi?
"Anche questo è un gesto illogico che conferma lo stato di 'annebbiamento' in cui presumibilmente la donna versava quando ha ucciso la figlia. Ed è uno dei motivi per cui credo che non dettaglierà ulteriormente la sua versione dei fatti".
Vale lo stesso per la messinscena del rapimento?
"Certo. La messinscena del rapimento è frutto di una totale dissociazione dalla realtà. Come se si fosse rifugiata in un mondo immaginario in cui il 'racconto di copertura' serviva a colmare quei vuoti cognitivi che ci sono stati mentre inveiva contro la bimba. Peraltro credo che si tratti di un racconto fortemente simbolico".
In che senso?
"La storia dei tre uomini incappucciati e il presunto rapimento della figlioletta dall'auto potrebbero avere qualche pertinenza con il vissuto di questa giovane donna. Sarà interessante, credo, 'scavare' nel suo passato e capire se ci si stata un evento particolarmente doloroso nella sua crescita".
Secondo lei ci sono stati dei campanelli d'allarme?
"Da quello che è trapelato sinora, mi sembra di aver capito che fosse molto solitaria. La solitudine e l'isolamento sono senza dubbio, sempre, due campanelli di allarme da non sottovalutare. Probabilmente l'assenza di una rete sociale di sostegno e di relazioni amicali stabili hanno aggravato una condizione psicopatologica già esistente. Ripeto, in casi come questo, non credo all'ipotesi del raptus".
I dati sono sconcertanti: 480 bambini uccisi dai genitori. Come si può intervenire?
"Bisogna che si attivino i servizi territoriali, specie per quelle situazioni familiari più critiche.
Penso soprattutto alle giovani madri in cui, talvolta, si annidano ansie, paure e aspettative. Bisogna mantenere alta l'attenzione sulle condizioni di monogenitorialità. È l'unico modo per evitare altre vittime innocenti".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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