Guai all’orizzonte per il padre di Maria Elena Boschi. A scrivere un nuovo capitolo alla vicenda giudiziaria sul crac di Banca Etruria, di cui Pier Luigi Boschi, padre dell’ex ministro, era vicepresidente, è la procura di Arezzo. Boschi e altri tredici ex dirigenti e membri dell’ultimo cda dell’istituto di credito aretino oggi sono stati raggiunti da una citazione a giudizio diretta per il reato di bancarotta colposa. Questo significa che per lui per gli altri imputati non ci sarà l’udienza preliminare.
Papà Boschi, come ricorda il Corriere della Sera, sinora ha collezionato solo archiviazioni, tanto per falso in prospetto quanto per la bancarotta fraudolenta per la mancata fusione tra Banca Etruria e Popolare di Vicenza. Adesso però dovrà comparire davanti al giudice monocratico del Tribunale di Arezzo per le cosiddette “consulenze d’oro”. Consulenze da quattro milioni di euro che il cda avrebbe affidato tra il giugno e l’ottobre del 2014 a grandi società e importanti studi legali allo scopo di evitare il fallimento. In realtà, la pubblica accusa sostiene che avrebbero sortito l’effetto contrario, contribuendo ad aggravare il dissesto dell’istituto presieduto ai tempi da Lorenzo Rosi. La questione è confluita in un filone di indagine, il terzo, autonomo rispetto a quello principale.
Per i pm Andrea Claudiani e Angela Masiello gli imputati non avrebbero agito con dolo. A loro, infatti, viene contestata la carenza di vigilanza sul lavoro svolto dai consulenti. Un lavoro che secondo l’accusa sarebbe stato inutile e ripetitivo. Benficiari delle parcelle da capogiro sarebbero le società Mediobanca e Bain e gli studi legali Zoppini di Roma e Grande Stevens di Torino. Come racconta il Corsera, però, Boschi non ha voluto commentare la notizia. Contattato telefonicamente ha spiegato di non essere a conoscenza degli sviluppi processuali e di non aver ricevuto alcuna notifica.
Inizialmente per l’affaire “parcelle d’oro” erano indagati anche l’ex presidente Lorenzo Rosi, l’ex direttore generale Luca Bronchi e l’ex vicepresidente Alfredo Berni. I tre manager però sono stati esclusi per il principio “ne bis in idem” visto che nel frattempo sono già stati rinviati a giudizio in altro dibattimento per il medesimo reato.
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