Qualche anno fa, Facebook ha lanciato una piattaforma molto simile a quella a Twitter. Si chiama Trending, non è disponibile in lingua italiana ma solo in inglese e in certi Paesi fra cui gli Stati Uniti. Lo strumento funziona come la piattaforma dei Tweet e appare in alto a destra, dove ora ci vengono suggerite le persone che potremmo conoscere. Nel riquadro appaiono tutti le notizie più discusse.
Negli Stati Uniti ha da subito assunto una rilevanza notevole. Secondo un’indagine di Gizmodo, che ha intervistato alcuni ex dipendenti della piattaforma di orientamento conservatore nella versione statunitense di quel colonnino le notizie da proporre agli utenti erano di fatto pilotate. Insomma da quello che si evince dalle dichiarazioni: agli utenti venivano periodicamente sottratte storie su personaggi come Mitt Romney, Scott Walker, Rand Paul o argomenti come la Cpac, un’importante conferenza annuale di stampo conservatore.
Non solo. Anche molte altre questioni, sollevate da testate repubblicane come il Washington Examiner o Newsmax , sufficentemente chiacchierate e rilevate dagli algoritmi venivano eclissate a meno che non se ne stessero occupando il New York Times, la Bbc o la Cnn, le big del giornalismo insomma. Le notizie nascoste agli utenti sono diverse. Fra queste lo scandalo del 2013 che coinvolse l’Irs, il fisco americano, accusato di vessare gruppi politici repubblicani, e che condusse l’allora direttrice Lois Lerner alle dimissioni. Ma anche la mai chiarita morte del cecchino dei Navy Seals Chris Kyle, quella portata sul grande schermo da Clint Eastwood in American Sniper.
Giornalisti, curatori e dipendenti hanno sottolineato come il meccanismo distorie selezionate, anche se non rientravano fra quelle di tendenza. Trending, non funzionasse in maniera automatica, bensì orientata dall'intervento umano. Inoltre hanno dichiarato di aver ricevuto istruzioni precise dai propri coordinatori. Indicazioni per iniettare nel sistema storie selezionate, anche se non rientravano fra quelle di tendenza. Il risultato sarebbe quindi una sezione non non valutata degli algoritmi ma seguita come fosse una newsroom qualsiasi. Seguendo così la linea editoriale frutto della preponderante sensibilità di un gruppo di giovani giornalisti liberal sfornati dai prestigiosi atenei della Ivy League. Una situazione in netto contrasto con quanto Facebook ha sempre dichiarato, e cioè che quel modulino di argomenti popolari fossero semplicemente elencati i temi più caldi del momento. E che, in definitiva, Facebook costituisca uno snodo neutrale per le notizie.
''A seconda di chi era di turno, gli argomenti potevano essere censurati o infilati di tendenza'', ha dichiarato uno degli ex curatori, che come gli altri intervistati da Gizmodo ha lavorato al social network fra la metà del 2014 e dicembre 2015. Dunque, proprio nelle fasi iniziali dello strumento Trending. Uno degli ex giornalisti intervistati ha inoltre specificato di credere che le scelte fossero frutto dei giudizi dei propri colleghi e che non vi fosse evidenza di un mandato preciso dal top management di Facebook. Ma in fondo le indicazioni che sono uscite raccontano un quadro diverso. Che va ben oltre la politica e racconta, sezione Tendenze o meno, la capacità del social network di orientare l’opinione pubblica interna e internazionale sfruttando molteplici fronti, dalla bacheca alle notizie. La rivelazione s’innesta non a caso nel dibattito sulle possibilità di Facebook di bloccare la scalata di Donald Trump alla Casa Bianca.
Tuttavia, Facebook ha confermato nelle ultime ore che sponsorizzerà la convention repubblicana di Cleveland in programma a fine luglio. Si tratterà in realtà di una piccola lounge brandizzata, un supporto paragonabile a quello del 2012 quando Menlo Park si occupò delle foto ai partecipanti.
Alcuni esempi di un orientamento forzato? Gli attacchi alla redazione parigina del giornale Charlie Hebdo e con la scomparsa dell’aereo Malaysian MH370. In altre occasioni i temi erano inseriti nell’elenco per una questione d’immagine: “Le persone non parlavano più della Siria – ha raccontato un dipendente dell’epoca – ma non era positivo che un simile argomento fosse ignorato sulla nostra piattaforma”. Stesso discorso per la campagna ''Black Lives Matter'', esplosa all’indomani degli omicidi di giovani afroamericani da parte della Polizia in diverse metropoli statunitensi. Così, grazie a una piccola modifica tramite uno strumento costruito ad hoc, un piccolo gruppo di curatori decideva di cosa e come centinaia di milioni di utenti dovessero discutere in un certo momento.
Le notizie riguardanti Facebook non dovevano essere toccate né messe in evidenza anche se il primo filtro degli algoritmi – la base di partenza per la selezione – le segnalava come più chiacchierate dagli utenti. ''Eravamo sempre cauti su questo tema – ha spiegato un altro ex dipendente – aspettavamo di ottenere un’approvazione dai piani alti prima di inserire fra gli argomenti popolari qualcosa sull’azienda. Di solito potevamo fare come preferivamo, ma nel caso ci fosse di mezzo Facebook l’editor doveva chiamare il manager che a sua volta doveva ricevere una via libera superiore''. Gli ex giornalisti di Facebook hanno anche dichiarato che queste pratiche sono andate diminuendo man mano che l’algoritmo di gestione si faceva più raffinato. E che, viste le continue modifiche al sistema, non c’è modo di stabilire se ancora adesso il social gestisca in questa maniera quella delicata sezione. ''Non si trattava di trending news – ha concluso un ex dipendente – ma di opinioni''.
Secca replica del colosso social. ''Prendiamo queste dichiarazioni molto seriamente – hanno risposto da Menlo Park – Facebook è una piattaforma fatta di persone che hanno posizioni politiche di ogni tipo. La sezione Trending mostra gli argomenti più popolari e gli hashtag di cui si parla di più sulla piattaforma. Ci sono linee guida rigorose che la squadra di curatori deve serguire per garantire neutralità e coerenza delle scelte.
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