Sette milioni di euro. Tanto pretende l'Agenzia delle entrate-Riscossione da un imprenditore, titolare di un'attività non più esistente che operava nel commercio di metalli preziosi. Una somma davvero ingente, che il diretto interessato ritiene essere del tutto immotivata. Il protagonista della vicenda della cartella esattoriale "pazza" si è sfogato con Leggo, che ha raccolto e pubblicato la storia-disavventura. Massimo V, romano di 56 anni, spiega come l'intimazione di pagamento gli sia piombata addosso in modo inatteso: il Fisco gli chiede 7 milioni per alcuni debiti che risalirebbero agli anni Novanta.
Queste le sue parole al quotidiano "free press" diretto da Davide Desario: "È una storia come tante altre, con la differenza però che a somma richiesta è molto alta. Mi contestano il mancato pagamento dell'Irpef. Nella metà degli anni '90 avevo una piccola società che commerciava metalli preziosi. Ho sempre pagato, ma la somma non sarebbe comunque giustificabile. Inoltre dopo tutti questi anni la società non c'è più, ho anche difficoltà a recuperare i documenti. Il sistema prevede che sia io a dimostrare di avere già pagato…".
Ecco qui la stortura. Massimo, che dice di aver sempre pagato tutto, deve dimostrare la sua "innocenza", ma le pezze d'appoggio necessarie per dimostrarsi "non colpevole" non le ha più sotto mano. Ma è assurdo che sia il 56enne a dover dimostrare di aver già pagato e che nei server e nelle banche dati del Fisco non vi siano informazioni sufficienti e necessarie a tal proposito…
L'imprenditore ora è gravato da una serie di cartelle per gli anni di imposta 1997, 1998, 1999. Per un totale, appunto, di 7 milioni e rotti di euro, tra Irpef, addizionali, sanzioni per ritardato o omesso versamento e interessi. "La vivo come un'ingiustizia, si tratta di una cifra altissima, a cui non potremmo mai arrivare. Stiamo già pagando le spese legali. Oggi non mi sento più un uomo libero ma un prigioniero, pronto in ogni caso ad andare fino in fondo", l'amaro sfogo di Massimo.
Il legale dell'uomo, inoltre, precisa: "Deve ancora essere fissata l'udienza. La Commissione emetterà una sentenza, impugnabile davanti alla Commissione Tributaria regionale. L'eventuale ricorso in Cassazione? Solo per motivi di diritto quindi dipenderà dalle sentenze di primo e secondo grado. Nel caso in cui la sentenza definitiva fosse favorevole il debito dovrà essere cancellato".
Leggo, infine, ha chiesto un parere anche a Emmanuela Bertucci, legale dell'Aduc (l'Associazione per i diritti degli utenti e consumatori), così da informare i cittadini-utenti su cosa fare qualora finissero in un simile ginepraio: "Bisogna innanzitutto verificare che
il credito non sia prescritto e quindi non sia più esigibile. Quindi chiedere all'Agenzia delle Entrate le prove di avvenuta notifica delle cartelle esattoriali e la data in cui è stato contestato l'accertamento".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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