D'ora in poi, soltanto sesso politicamente corretto. Dimenticatevi le scene hot da Nove settimane e mezzo, l'irruenza di lui che invade il corpo di lei in un tripudio di eros vorace, impertinente, sfrenato. Tra le conseguenze inintenzionali del movimento #metoo c'è il ritorno del puritanesimo sessuofobico che in Svezia ha partorito una legge, ufficialmente in vigore da ieri, che introduce una regola severa severa: se non c'è un consenso esplicito, qualsiasi atto sessuale è considerato stupro, anche in assenza di minaccia o violenza. Se prima era indispensabile dimostrare che la vittima fosse stata costretta al rapporto con la forza, con la minaccia o sfruttata per via di uno status psicofisico vulnerabile, ora sarà sufficiente indicare la mancanza del consenso, che deve essere manifestato in modo verbale o fisico. Inoltre la passività della vittima non sarà più considerato un segno di partecipazione volontaria al rapporto sessuale.
«Se una persona vuole impegnarsi in attività sessuali con qualcuno che rimane inattivo o dà segnali ambigui, dovrà scoprire se l'altra persona è disponibile», si legge nel documento pubblicato sul sito del governo. Bisognerà dunque proferire le fatidiche parole «sì, lo voglio» non solo per unirsi in matrimonio ma anche per dare sfogo alla passione in due.
Voluta dalla maggioranza socialdemocratica e verde, la legge è stata applaudita come il sacrosanto riscatto del genere femminile che nel paese nordico ha animato, negli ultimi mesi, una campagna durissima contro il maschio stupratore. In aprile la bufera ha travolto l'intellettuale Jean-Claude Arnault, il «Weinstein di Svezia», accusato di avere molestato la futura sovrana di Svezia e altre diciotto donne. Pochi mesi prima, oltre quattrocentocinquanta attrici hanno denunciato produttori e attori per molestie passate, vere o presunte. Del resto, nella furia collettiva innescata dalla campagna americana il confine tra il vero e il fittizio si è dissolto in nome del «farsi giustizia», costi quel che costi.
Qualcuno, in Svezia, ha provato a sollevare il dubbio circa l'efficacia di una legge che mira a codificare una dinamica privata secondo schemi contronatura. Per esempio, l'Ordine degli avvocati ha fatto notare che la legge obbligherà i giudici a una valutazione arbitraria sull'esistenza o meno del consenso. Per non parlare delle nuove fattispecie introdotte: «stupro colposo» e «abuso sessuale colposo», entrambi perseguiti con una pena detentiva massima di quattro anni. A essere incolpato quindi sarà anche chi, pur prendendo in considerazione il rischio che l'altra persona non stia partecipando volontariamente, prosegua nel rapporto senza ottenere preventivamente un chiaro e netto «ci sto».
È evidente il cortocircuito di una simile previsione normativa, un inedito assoluto, forse utile a cavalcare una questione seria in modo demagogico ed emotivo; una matassa che i giudici saranno costretti a sbrogliare, non si sa come, in tribunale. L'approccio sessuale non è un colloquio di lavoro, né un interrogatorio «a domanda risponde»; nel corteggiamento e nel tentativo di possedere l'altro esiste un margine di ambiguità e incertezza ineliminabile.
A volte, è un gioco di sottrazione, ci si nega per darsi un po' alla volta, e il rispetto del consenso altrui non abbisogna di formule verbali.Il governo rassicura gli scettici affermando che la legge manderà un segnale forte; di certo, un messaggio è arrivato: meglio tenere chiusa la patta dei pantaloni, onde evitare guai.
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