Gettati nelle fosse comuni. Compressi tra uno strato di terra e cemento.
“Le disposizioni per la sepoltura erano ferree e rigide. Si doveva cercare un luogo di almeno 1000 metri quadrati, distante dal centro. E che non avesse vie di accesso. Qui i morti dovevano essere gettati. Quando tornò l’epidemia invece, una cosa orribile: i morti venivano gettati come si getta il cemento, cioè dovevano essere compressi tra uno strato di terra e uno di malta e poi ancora terra”.
Non è un film. È veramente accaduto. Siamo a Salemi, nel profondo entroterra siciliano. Qui c’è il cimitero dei Morti dimenticati, di cui nessuno ha mai parlato. Tranne lui. Vito Surdo. Che ne ha fatto un libro. “I morti dimenticati”, edizione Sipirro.
Conosciamo Vito per caso una mattina di giugno. La sua cadenza tipicamente del vento del sud evoca enormi prati e mari sconfinati, brezza marina, mare calmo e in tempesta, sole, profumi, agrumi, intere distese dorate di oro sabbia e tramonto. Vito Surdo è un medico che ha 81 anni. Nato a Salemi, si è laureato e specializzato in Ortopedia e Traumatologia all’Università di Palermo e poi ha conseguito la specializzazione in Fisiochinesiterapia ortopedica al Rizzoli di Bologna. Poi per lavoro si è trasferito in Veneto dove è stato primario del reparto ortopedico dell’ospedale di Mirano, in provincia di Venezia, per tanti anni.
Vito Surdo lo sapeva che doveva dare un contributo al paese dove è nato. Lo sapeva che doveva in qualche modo cercare qualcosa, in questo scenario della sua infanzia e adolescenza. Le sue ricerche durano anni. E partono così un po’ per caso. Un giorno, nove anni fa, stava leggendo un libro. “A causa delle pessime condizioni metereologiche – scrive Surdo – viene cancellata la passeggiata a Mothia e sono costretto all’ozio tra le mura di casa. Mi capita tra le mani il romanzo di Alessandro Catania, “Gli Illusi”, una riedizione del 2005 – 2006 curata dal Rotary Club di Salemi. Alla pagina 23 leggo: “in quel mentre sopraggiunse mastro Pasquale Dacinarea, un giovane sui 27 anni, alto, robusto, roseo, un bel giovane. Era figlio di Don Stanislao che abitava laggiù a Sant’Antonio. Nell’epidemia colerica del 1837 aveva perduto la moglie lasciandogli quattro figli, due maschi e due femmine, il primo dei quali era Pasquale. Ogni lunedì, don Stanislao, facesse tempo cattivo o bello, d’estate oppure d’inverno, si recava al cimitero dei colerosi, poco distante da Salemi, al Serrone…”.
Qui Vito capisce che c’è qualcosa. Che qualcosa si nasconde nella sua città natale. Così chiede aiuto a Nicola Spagnolo, una delle menti storiche di Salemi. Cominciano le indagini, e sì, lì, “in contrada Serrone, fuori dell’abitato, che oggi giace nel più squallido abbandono”, si legge nella Guida storico artistica di Salemi, c’è un cimitero, il Cimitero dei Colerosi. Iniziano la ricerca dei documenti, l’accertamento delle fonti, le verifiche, il controllo dei catasti. Vito Surdo si attiva per un grande esempio di recupero della storia e riconciliazione con il passato.
Il 1.novembre del 2012 a Salemi nasce il Comitato pro Cimitero dei Colerosi, perché effettivamente “i colerosi di Salemi furono tutti inumati in una fossa comune, nella contrada Serrone, a poche centinaia di metri fuori dell’abitato del quartiere Santo Padre”. A Salemi il colera arrivò il 28 agosto 1837 e si protrasse fino ai primi di ottobre dello stesso anno, causando la morte di un numero imprecisato di persone. Secondo alcuni 600. Secondo altri 475. Di certo c’è che “il comune – si legge nel libro di Vito Surdo – ottemperò le disposizioni sanitarie impartite per il seppellimento dei morti di colera: un cimitero ad hoc, fuori dal centro abitato, di 1000 metri quadrati e senza accesso”.
E il cimitero era effettivamente lì. Con un team di ricercatori, esperti, tecnici, architetti, con Gino Torresan che ha pensato il Giardino dei Ricordi, con il progetto di Vito Scalisi, con Davide Gangi, Enza Gandolfo, Anna Veneziano, Maria Cusumano, Gianni Romano, Totò Marino, Nicola Spagnolo, Giovanni Grimaldi, con l’aiuto dell’amministrazione comunale, Vito Surdo ottiene l’ok per riqualificare il cimitero dei colerosi che era in stato di completo abbandono. Soltanto una croce, messa da qualcuno che “si era ricordato dei morti di colera”. Vennero ritrovati anche alcuni resti. E i nomi dei morti dimenticati sono stati ritrovati tramite gli archivi delle chiese.
Il libro ripercorre quello che abbiamo vissuto noi con il covid: evitate assembramenti, no luoghi affollati, le merci in quarantena, la gente che non beve più il vino di una famosa locanda perché temono sia infetto, come era accaduto anche a Vo’ Euganeo quando era scoppiato tutto.
E poi le disposizioni per la sepoltura. “Le fosse dovevano essere profonde 8 palmi. Nella tomba doveva stendersi un primo strato di calce viva, adagiarvi sopra il cadavere, coprirlo interamente di calce e gettarvi sopra acqua in tale quantità da sciogliere la calce con il sobbollimento. Quando la calce diventa completamente fusa, e sigillava così il cadavere, si doveva riempire la fossa di terra pressata e non riaprirla per alcuna ragione”.
Ora quel pezzo di storia, quel pezzo di terreno è stato riqualificato. L’opera è stata portata a termine nel novembre 2019, qualche giorno prima della sua inaugurazione. Il cimitero ora è completamente restaurato. Perché come scrive il sindaco di Salemi Domenico Venuti nella prefazione: “Il tempo non può e non deve cancellare la memoria”.
Quando Vito Surdo ha inziato a richiedere i permessi per realizzare il suo progetto mai avrebbe immaginato che il suo libro uscisse proprio durante l'anno del covid...
Serenella Bettin
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