Fuga dalla politica 56 italiani su 100 non ne possono più

Fuga dalla politica 56 italiani su 100 non ne possono più

Siamo ormai in campagna elettorale. Le consultazioni amministrative si terranno tra pochi mesi e questa importante scadenza sta mobilitando i partiti e, nel centrodestra come nel centrosinistra, causando discussioni, ma anche tensioni e, talvolta, vere e proprie fratture (e, in certi casi, successive ricomposizioni) all'interno degli schieramenti.Molti si interrogano già sui possibili esiti del voto nelle principali città e, da tempo, circolano anche sondaggi effettuati al riguardo. Ma questi ultimi forniscono un dato ancora ipotetico. Non tanto per l'accuratezza con cui sono svolti (in molti casi più che soddisfacente), quanto per l'elevata quantità di persone che non vogliono dare risposta alla domanda sulla loro intenzione di voto. Secondo quanto rilevato dall'ultimo sondaggio presentato in un talk show televisivo (Index Research per Piazza pulita), non è stato possibile rilevare la scelta elettorale nel 45% del campione intervistato a Napoli e addirittura nel 56% di quello di Roma. Una rilevazione ancora più recente, effettuata da Eumetra Monterosa sulle comunali di Milano, mostra un livello di indecisione più contenuto, ma sempre ragguardevole, poco sotto il 30%. Tutti costoro non sono mossi tanto da reticenza sul loro orientamento, quanto, sovente, dal fatto che non lo hanno, a tutt'oggi, ancora elaborato. Molti sicuramente si asterranno, come spesso dichiarano di fare, ma molti decideranno all'ultimo momento. Abbiamo già sottolineato su queste colonne come, in generale il 30% degli elettori, ad esempio nelle ultime consultazioni politiche, abbia maturato il proprio processo consapevole di decisione sulla scelta di voto solo l'ultima settimana prima delle elezioni.Ciò accade perché buona parte della popolazione si interessa assai poco di ciò che accade nello scenario politico e ne segue le vicende da lontano e distrattamente, cominciando a porsi il problema di cosa votare solo nelle ultime fasi della campagna elettorale.Un indicatore efficace di questo «distacco» dalla politica sta nel fatto che, oggi, la gran parte dei cittadini non ha una posizione, nemmeno approssimativa.

Non solo in termini di preferenza di partito, come si vede dalle ricerche sulle intenzioni di voto, ma anche sulla mera autocollocazione sul continuum sinistra-destra. Infatti, di fronte all'invito a definirsi in una delle categorie consuete che connotano da decenni la vita politica (sinistra, centrosinistra, centro, centrodestra, destra), la netta maggioranza (56%) degli intervistati (nell'ambito di un sondaggio condotto dall'istituto Eumetra Monterosa su di un campione rappresentativo degli italiani al di sopra dei 17 anni di età) dichiara di non essere in grado di farlo. In altre parole, più di metà degli italiani non vuole o non sa riconoscersi nelle tipologie «classiche» in cui si situano la gran parte delle forze politiche presenti nel nostro Paese, con l'eccezione del Movimento Cinque Stelle. Potremmo chiamare questi cittadini «neutrali» o «estranei» al dibattito politico tradizionale: il fenomeno è l'effetto dell'evoluzione della società - e della conseguente erosione delle identificazioni politiche - di questi ultimi decenni. L'identico quesito posto trent'anni fa (nell'ambito di una ricerca condotta da chi scrive con Giacomo Sani nel 1985) mostrava infatti come la numerosità dei «neutrali» fosse allora inferiore al 25%, meno della metà di quanti se ne rilevino oggi. Una larga quota di costoro (79%) dichiara ovviamente di essere tuttora completamente indecisa su chi votare (molti affermano di non averci proprio pensato) e, spesso, tentata dalla diserzione delle urne.Se, dunque, più di metà del campione intervistato non si colloca sul continuum sinistra-destra, cosa fanno i restanti? Come si distribuiscono tra le diverse categorie coloro che vi aderiscono ancora? La maggioranza, specie sul versante della destra, si pone sulle estreme, affermando cioè di sentirsi di «destra» più che di «centrodestra». Ma il fenomeno si rileva sia pur in misura meno accentuata anche sul fronte della sinistra. Ci si trova, insomma, in una sorta di tendenza alla «radicalizzazione». Chi si colloca in uno dei settori del continuum tende cioè spesso a farlo in modo deciso ed «estremo», privilegiando, nel momento in cui si assume un'identità, una caratterizzazione più netta e marcata. Ciò si riflette ovviamente sull'elettorato dei diversi partiti: la gran parte (51%) di elettori di Forza Italia e, ancora più intensamente, di quelli della Lega Nord (87%) tende a descriversi direttamente di «destra». E il 30% degli elettori Pd si colloca sulla «sinistra» tout court. Un caso a parte è costituito, come si è detto, dal Movimento Cinque Stelle. La quasi totalità (90%) dei votanti per questa forza politica si rifiuta, com'era prevedibile, di collocarsi in uno dei settori del continuum sinistra-destra, rivendicando la propria estraneità a questa categorizzazione. Il movimento di Grillo risulta così la scelta preferita della quota (minoritaria) di «estranei» alla categorie tradizionali che però ha, al tempo stesso, già un orientamento di voto.Tutto ciò ha come conseguenza una sorta di dissoluzione della vecchia posizione di «centro», tanto che, in generale, gli elettori che si definiscono in questo modo sono relativamente pochi, il 5%. È la conseguenza dell'effetto combinato dell'«estraneità» e della «radicalizzazione». Buona parte di chi un tempo si considerava di «centro», oggi protende a rifiutare in toto la suddivisione politica tradizionale. E chi invece ancora vi aderisce tende, come si è visto, a posizionarsi in modo più netto.Si dice spesso che l'obiettivo dei diversi candidati in lizza in questi giorni sia quello di conquistare il «centro», che sarebbe determinante per la vittoria nello scontro elettorale. I dati che abbiamo illustrato mostrano come questa lettura della realtà sia, almeno in parte, imprecisa.

Più che di «centro» in senso stretto, i cittadini da convincere, quelli che possono consentire la vittoria, sono i «neutrali», gli «estranei» al dibattito politico. Attirare la loro attenzione e il loro consenso, strappandoli così alla possibile astensione, può significare, per chi ci riesce, l'affermazione nelle urne.Renato Mannheimer

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