Il funerale del grillismo

Beppe Grillo si è ricucito addosso il ruolo da battitore libero, solitario, e la distanza con l'avvocato di affari Giuseppe Conte è ormai siderale.

Il funerale del grillismo

Sembra una nemesi, che arriva quando il sogno di Gianroberto Casaleggio e del suo uomo da palcoscenico si è già sgonfiato. Beppe Grillo si è ricucito addosso il ruolo da battitore libero, solitario, e la distanza con l'avvocato di affari Giuseppe Conte è ormai siderale.

I Cinque Stelle delle origini hanno da tempo rinnegato se stessi e vagano in cerca di una seconda o terza vita, alcuni cercando di non tornare indietro, altri bussando alle porte di Elly Schlein, giurando che il Pd, soprattutto questo Pd, è la loro casa naturale. L'immagine sfocata è quella di una diaspora di accattoni. I grillini non hanno più un nome, perché tutto ciò che avevano è stato usurpato da Conte, uomo in grado di indossare qualsiasi vestito, con la faccia di chi sta bene con tutto.

La stagione politica del grillismo è finita, dispersa nella sua metamorfosi. È stato un grande fuoco che si è consumato in fretta, bruciando speranze e illusioni, con un populismo nato in teatro, spopolato in piazza, per poi svaccare nei social, con quella miscela di rabbia e vaffa, di chi rivendicava la sovranità dell'uomo qualunque contro la casta dei «sempreinpiedi».

Adesso sembra che i «controcasta» non hanno mai avuto nelle vene il vaccino contro il potere. Troppo velocemente si sono resi conto, senza salvarsi, che la casta erano loro, anche loro, come capita da sempre alle schiatte di scribi e farisei. È una legge da cui non si sfugge.

Il sigillo è un'inchiesta giudiziaria che ha il sapore da tarda prima repubblica, come se il governo pentastellato avesse i crismi della cricca. È la Procura di Milano che si muove, quella di tangentopoli, e notifica a Beppe Grillo e Vincenzo Onorato, proprietario del gruppo Moby, la conclusione delle indagini. Ora tocca al gip dire se ci sarà un processo. Non tocca a noi, non tocca alla piazza. Quello che si può dire è che i due sono indagati per traffico di influenze illecite, uno di quei reati dai confini grigi.

Secondo l'accusa, Grillo avrebbe ricevuto pagamenti per la diffusione di contenuti sul blog che sarebbero serviti come mediazione verso il mondo politico. Il grande capo del Movimento avrebbe fatto pressioni su ministri grillini per dare una mano all'armatore, che negli ultimi anni si è ritrovato a navigare in acque economiche insicure.

C'è in questo gioco anche un contratto pubblicitario per il 2018 e il 2019 tra Moby spa e la Beppe Grillo srl. La cifra totale è di 240mila euro. Troppo, a sentire gli inquirenti. Nelle carte ci sono i nomi di Luigi Di Maio, Danilo Toninelli e Stefano Patuanelli. Non sono indagati.

Questa è la breve cronaca di giornata. La realtà è che sul destino grillino non inciderà più di tanto. È solo il grottesco finale di partita. Qui non si parla di colpevoli o innocenti, ma si guarda al senso di questa roboante avventura politica.

Il grillismo è stato già seppellito da Conte, personaggio cresciuto nel sottobosco del potere. È lui il becchino del Movimento.

Sulla scena c'è invece il teschio politico di Grillo, che ricorda lo Yorick di Amleto, quel che resta di infinite facezie.

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