Quando assunsi la direzione del Giornale, il 22 giugno 2021, non avrei mai pensato che avrei avuto l'occasione di raccontare da questo osservatorio privilegiato tanti momenti che hanno cambiato il volto del mondo e dell'Italia. Sono trascorsi poco più di 800 giorni, ma ho la sensazione che siano passati dieci anni. Chi avrebbe mai pensato di assistere ad una pandemia che ha cambiato il nostro stile di vita. O ad una guerra nel cuore dell'Europa di cui non si vede la fine. Vicende che hanno messo a rischio non solo la nostra economia, ma ci hanno sprofondato nell'insicurezza. E ancora, la conferma di un capo dello Stato che ha trasformato il suo mandato in un papato. La vittoria del centrodestra che ha portato per la prima volta una donna a Palazzo Chigi. E infine, vicenda che mi rattrista, la morte di Silvio Berlusconi, l'uomo che ha lasciato un'orma indelebile nella storia dell'imprenditoria, dello sport, della tv, della politica del Paese.
Per il Giornale la scomparsa del Cavaliere ha avuto un significato ancora più profondo. È venuto meno l'editore che ha permesso ai giornalisti di questa testata di raccontare i fatti secondo la loro coscienza. Un esempio che ne vale mille: il quotidiano da me diretto si è sempre schierato dalla parte dell'Ucraina e ha perorato la sua causa, convinto che per difenderne l'indipendenza bisognasse assicurare tutto il supporto necessario, anche quello militare. Silvio Berlusconi, per un rifiuto innato verso ogni guerra, anche la più giusta, sull'argomento aveva i suoi legittimi dubbi e in fondo anche qualche ragione, ma non ha mai interferito sulla linea del Giornale.
Ecco perché questi due anni sono stati entusiasmanti, indimenticabili. Un'esperienza preziosa di cui debbo ringraziare innanzitutto la redazione, tutta, che in una fase complicata per l'editoria non si è mai risparmiata, non è mai venuta meno al dovere di informare quella splendida ed esigente comunità che sono i lettori del Giornale. Lo ha fatto marcando la sua visione liberale, respingendo la narrazione del mainstream, di quei mondi che hanno l'arroganza di educare l'opinione pubblica secondo i loro luoghi comuni e i loro valori. Insomma, sempre «fuori dal coro», ma rispettando chi la pensa in modo diverso.
È questa la natura del Giornale. È così, o non è. Per cui non ho dubbi che questo approccio non muterà con il nuovo direttore che peraltro è stato il mio predecessore, Alessandro Sallusti: lui prima di me ha formato e condiviso la visione che il Giornale ha delle cose del mondo. E un'altra garanzia di libertà è il ritorno su queste pagine di quel monumento al giornalismo che è Vittorio Feltri. Stesso discorso mi sento di fare per la nuova proprietà, che ha dimostrato di essere animata da una grande voglia di cimentarsi in questa nuova avventura editoriale.
Sono tutte ragioni che mi spronano a continuare a dare il mio contributo, sia pure in un ruolo diverso, a il Giornale. Una testata che a mezzo secolo dalla sua nascita mostra la stessa passione nel raccontare le cose che accadono. Seguendo una sola bussola: i suoi lettori.
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