Per il giorno della memoria: il coraggio di una madre

Una giornata per me da dimenticare, ma certamente da menzionare

Per il giorno della memoria: il coraggio di una madre

Si tratta di un’esperienza direttamente vissuta dalla mia famiglia e di cui desidero ricordare il grande coraggio di mia madre nell’affrontare la crudeltà di alcuni personaggi di allora. Io era molto piccola, però ricordo molto bene alcuni episodi. Abitavo allora a Bonate Sotto in provincia di Bergamo, dove c’era un distaccamento delle SS naziste. In quel tempo nella provincia di Bergamo c’erano molti prigionieri scampati ai rastrellamenti tedeschi, che provenivano da ogni parte d’Europa. Ricordo che tra loro ce n’erano alcuni che venivano dalla Grecia e dalla Macedonia; uno in particolare, tal Gregorio, era ospite fisso in casa nostra e condivideva parte della nostra casa con altri prigionieri, che però non erano fissi. Lui riparava scarpe e zoccoli per i compagni, tanto che mio papà gli procurò un tavolino da calzolaio affinché potesse svolgere questa sua professione e ricordo che, a volte, seduta su uno sgabellino lo aiutavo anch’io. Un giorno, per una spiata, mia mamma venne fermata dalle SS e le fu intimato di consegnare i profughi che nascondeva in casa, “Altrimenti – dissero – le fuciliamo i figli”. Nel frattempo, due soldati ci puntarono il fucile alla gola. Ricordo ancora la freddezza e la calma di mia madre che disse ad alta voce, in modo che i prigionieri sentissero e intanto scappassero sul retro della casa: “Mi uccidete i figli solo se trovate i prigionieri in casa. Per favore - disse al fascista - tolga il fucile dalla gola dei miei figli”. La risposta: “Se entro tre minuti non apre l’uscio di casa siamo pronti a sparare. Dateci subito la chiave di casa”.

E mia madre, ancora più ferma, risoluta e serena, almeno apparentemente: “Un momento che la cerco, forse è nella borsa”. Finse di non trovarla per perdere un po’ di tempo e, alla fine, frugando in tasca disse: “Ma guarda dove l’avevo messa!”. Così, nel frattempo, i prigionieri si erano dileguati nell’orto retrostante la casa e nascosti sotto una gigantesca pianta di sambuco. Una seconda volta vennero e trovarono proprio Gregorio in casa. Lui venne arrestato e a mia madre intimarono di avvisare subito mio padre affinché si presentasse al comando di Bergamo con i vestiti da militare del prigioniero per un confronto. Fortuna volle che il direttore della Dalmine, un fascista come molti allora, che però stimava particolarmente papà, non so bene come, lo aiutò a fuggire e a nascondersi. Non lo vedemmo per tre mesi, ma mia madre fu rassicurata sulla sua salute. Quando però tornò aveva perso i capelli a ciocche per una alopecia certamente psicosomatica. Ogni anno mi unisco spiritualmente alla comunità Ebraica, per vivere le sofferenze per le atrocità di Hitler, per scongiurare ogni forma di imitazione di tante nefandezze.

Ecco perché ho voluto ripercorrere un momento della storia di Hitler che, anche se indirettamente, mi ha molto toccato e se ne parlo è anche perché quel fucile puntato alla gola mi ha lasciato un brutto segno: ogni volta che qualcosa mi ostruisce la gola mi sembra di soffocare. A testimonianza del coraggio dei miei genitori il generale Alexander rilascio un’attestazione che allego.

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