Giustizia in mano all'accusa. Riforma Falcone una necessità

Interviste, congressi, libri: l'eroe antimafia voleva cambiare. "Considerare unitaria la magistratura ne mina l'indipendenza"

Giustizia in mano all'accusa. Riforma Falcone una necessità
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Non era un botanico, ma gli hanno titolato «L'albero Falcone». Non era neppure un didatta, ma infinite scuole portano il suo nome. Era un magistrato, e però di leggi da lui auspicate (con lui vivo) ne fecero una sola. Giovanni Falcone auspicava molto altro, e però, ora, l'idea che la Riforma della Giustizia e l'annessa separazione delle carriere dei magistrati possa chiamarsi «Riforma Falcone», come lui auspicava e come questo giornale proponeva ieri, verrebbe (verrà) contestata a dir poco. Da decenni, infatti, chi si oppone strenuamente al progetto di dividere concorsi e destini di inquirenti e giudicanti capovolge la verità e giunge a sostenere che Falcone non avrebbe voluto, anzi. Messi di fronte al nero su bianco delle sue parole, parlano di «strumentalizzazione» e l'unico che si arrese all'evidenza, l'ex presidente del Senato Pietro Grasso, ha provato a metterla così: «Non parlo sulle carte, ma alla luce dei tanti discorsi fatti con lui».

Un magistrato però vive di carte e sulle carte. E a cantarla chiarissima non c'è soltanto l'intervista a Falcone fatta da Mario Pirani di Repubblica del 3 ottobre 1991, ampiamente citata ieri da Alessandro Sallusti nell'editoriale, ma molto altro: basterebbe riguardarsi gli atti del Convegno «Un nuovo codice per una nuova giustizia» dell'8 ottobre 1988: «Bisognerà valutare se e in quali limiti l'unicità delle carriere dei magistrati, inquirenti e giudicanti e la stessa appartenenza del pm all'ordine giudiziario siano compatibili con il nuovo sistema Trattasi di questioni aperte che non verranno risolte semplicemente esorcizzandole o, peggio, muovendo da posizioni preconcette o corporative».

In un altro convegno organizzato da Mondo Operaio del 28 luglio 1988 (lo trovate negli archivi online di Radio radicale) Falcone diceva: «Non è pensabile né logicamente plausibile, in un codice che accentua vistosamente le caratteristiche di parte del pm, pensare che le carriere dei magistrati, del pubblico ministero e quelle dei giudici potranno rimanere ancora a lungo indifferenziate».

Non basta? Sul libro «Interventi e proposte» pubblicato dalla Fondazione Falcone, a pagina 179, compaiono altre parole del giudice che sembrano dette ieri: «Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pm dall'esecutivo e della discrezionalità dell'azione penale che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere Continuare a considerare la magistratura unitariamente equivale a garantire meno la stessa indipendenza e autonomia della Magistratura».

Naturalmente, per queste e molte altre posizioni, Falcone ai tempi era osteggiatissimo. Fu per il suo grave isolamento che il 13 marzo 1991 accettò di trasferirsi a Roma per dirigere l'ufficio degli Affari penali: «Che ci rimanevo a fare laggiù?», disse all'amica giornalista Liana Milella». E fu al Ministero che concepì la Superprocura antimafia contro cui si alzò un fuoco di sbarramento soprattutto l'Associazione nazionale magistrati, sindacato unico in cui oggi è di casa, paradossalmente, la collega Liana Milella. Erano i giorni in cui, molto ma molto teoricamente, i principi del Nuovo Codice proponevano una pari dignità giuridica tra accusa e difesa e una totale pubblicità del successivo processo: il contrario di com'è oggi. Quel Codice (che sarebbe quello in vigore) auspicava la riproposizione e la formazione delle prove (comprese le confessioni e le testimonianze) rigorosamente nell'aula del processo e non nelle indagini preliminari, inoltre sostituivano il carcere preventivo con una «custodia cautelare» da adottarsi come «extrema ratio», intesa come rimedio eccezionale: il contrario di com'è oggi.

Il Codice del 1989 fu varato in un Paese ancora scottato dal caso di Enzo Tortora che cercò d'inventarsi un sistema «misto» che forse non può esistere, perciò non introdusse subito la separazione delle carriere tra pm e giudici (due figure che fanno lo stesso concorso, seguono lo stesso percorso formativo, passano da un ruolo all'altro e spesso sono vicini di pianerottolo) e neppure abolì quell'ipocrisia chiamata «obbligatorietà dell'azione penale» che non esiste, perché i pm mandano avanti i procedimenti che interessano loro.

L'introduzione di questi due pilastri tuttavia avrebbe reso necessario un cambiamento delle norme costituzionali: e infatti è quello che la Riforma Nordio sta cercando di fare. Falcone lo voleva. Falcone lo vorrebbe. Altro che alberi e scuole e vie e piazze.

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