Il governo rischia il crac sui fondi Ue

Se insisteranno a gettare euro al vento, i 209 miliardi potrebbero essere bloccati. Conte ai suoi: chi mi sposta?

Il governo rischia il crac sui fondi Ue

I consapevoli. La ragione che spiega la montagna di soldi che ci arriverà dall'Europa può essere riassunta in una vecchia espressione che andava in voga durante l'ultima crisi finanziaria del 2008: «Too big to fail», ovvero «troppo grande per fallire». Ebbene, un'Italia sull'orlo del precipizio, con previsioni del Pil -11,2%, in caso di fallimento si sarebbe portata dietro tutto il continente: un pericolo che Angela Merkel e Emmanuel Macron, veri registi dell'operazione Recovery fund, avevano ben presente. Conte ha fatto quel che doveva fare restando dalla loro parte. Ora, però, c'è il vero problema, che è enorme: questa montagna di soldi deve essere ben spesa, deve servire a modernizzare e razionalizzare il Paese, se ciò non avverrà, se si continuerà a disperdere denaro in assistenzialismo o, peggio, in markette, se non si investirà sul nostro sistema produttivo, non solo si perderà un'opportunità, ma si rischierà il crack: perché si allargherà ulteriormente il buco del nostro debito pubblico e ridare indietro i prestiti diventerà impossibile. Senza contare che se il governo insisterà a gettare euro al vento, il rubinetto rischia di chiudersi ancor prima di aprirsi, visto che le «condizionalità» ci sono, eccome: non siamo in mano all'Olanda, ma alla Francia e alla Germania sì. «Ci sono - osserva Renato Brunetta - più condizionalità nel Recovery fund che non nel Mes. Ma abbiamo alternative?». Motivo per cui le perplessità su come il governo e, soprattutto, la maggioranza affronteranno il tema degli investimenti, albergano anche tra le file di chi sostiene l'esecutivo. «È l'interrogativo di oggi - conferma Matteo Renzi -: un risultato storico della Ue che ci offre grandi opportunità, ma ci pone anche grossi problemi». «La vera sfida comincia ora - osserva il piddino lombardo Maurizio Martina - perché mentre la Merkel e Macron sono stati consapevoli nel darci una mano, non so quanto lo siano i grillini. Ecco perché è un bene che ci sia la Ue a controllare!». Concetto che dall'altra parte dello stivale, il siciliano Fausto Raciti, condivide: «O sarà una grande opportunità per rilanciare un Paese che ancora non è riuscito a risollevarsi dalla crisi del 2008, o l'Italia rischia di trasformarsi nella Lehman Brothers d'Europa».

Gli inconsapevoli. Ieri mattina il presidente della commissione per le Politiche dell'Unione europea, il grillino Sergio Battelli, ha sintetizzato il risultato del consiglio europeo con un'esclamazione volgare ancorché densa di significato: «Abbiamo salvato il culo!». Nel ristorante di Montecitorio, invece, l'ex capogruppo Francesco D'Uva, per affrontare la questione degli investimenti, non trovava di meglio che rinviare ad un testo sacro dell'economia da far invidia a John Maynard Keynes: «Potremmo utilizzare il piano di Laura Castelli (mente economica dei 5stelle sia nel governo giallorosso che i quello gialloverde, ndr) sui settori più moltiplicatori di ricchezza». E ancora, davanti all'ascensore che porta alla presidenza, Nico Stumpo di Liberi e uguali, confessava la sua diffidenza verso «i padroni» italiani: «Ho più paura degli imprenditori italiani che dei grillini. Quelli quando vedono una montagna di soldi perdono la testa: uno come Bonomi è capace di inventarsi una serie di aziende e poi scappare all'estero».

Pure a costoro sono affidati i 209 miliardi di euro che dovrebbero arrivare dall'Europa. Sembra una barzelletta, ma non lo è. Anche perché ogni parlamentare è importante, visti i numeri risicati di cui «gode» la maggioranza in Senato e alla Camera: per Conte ogni voto si porta dietro la sopravvivenza. Poi se si guarda nell'opposizione, dalla barzelletta si passa alla tragedia. Anche se qualcuno dalla parte di Fratelli d'Italia ha avviato un processo di «riabilitazione» della Merkel («ha lavorato bene», arriva a dire Walter Rizzetto), infatti, la musica di Matteo Salvini, in linea con lo spartito di Borghi e Bagnai, non muta: «Le decisioni Ue sono una fregatura grossa come una casa». Una posizione che fa allargare le braccia a Renato Brunetta: «Atteggiamento demenziale».

Ma al di là dei grillini, di Salvini, dello stesso Conte, le domande sono altre: riuscirà il Paese a trasformare, grazie ai soldi europei, una crisi che fa tremare i polsi, in una grande occasione? Ed ancora, questo governo e questa maggioranza ne saranno capaci? E se la risposta fosse «no», l'opposizione potrebbe concorrere alla formazione di un quadro politico più adeguato? Ad ogni domanda, invece, di diradarsi i dubbi si moltiplicano. Intanto perché questi interrogativi non toccano un premier abituato a galleggiare. Per Conte quei 200 miliardi di euro, equivalgano al biglietto vincente di una lotteria. «Ora - sono le parole consegnate ai suoi collaboratori - voglio vedere chi mi sposta da Palazzo Chigi?!». Eppoi l'uomo è abituato ad esorcizzare i problemi o, almeno, ad affrontarli non un minuto prima, ma semmai un minuto dopo che si pongono. Per cui non ragiona sul fatto che ci sono più condizioni nell'esame dei piani del Recovery fund che non sul Mes; come pure che i soldi non arriveranno prima del secondo trimestre del prossimo anno e sicuramente il premier non può governare utilizzando, chessò, assegni post-datati. «Nel documento - rimarca Brunetta - non c'è un bridge, non è previsto un prestito ponte». Inoltre, come le cronache dimostrano, per il premier è più facile trattare con i leader europei e i loro interessi che non con l'ideologia, per non dire ignoranza, grillina: nel movimento già si fanno i conti per dire che la valanga di soldi servirà innanzitutto ad evitare l'utilizzo del Mes. Infine, è chiaro che la parte più dialogante dell'opposizione, di fronte all'arrivo di miliardi dall'Europa, sarà la meno accomodante nella speranza di porre le basi per un cambiamento del quadro politico. «Senza segnali - annuncia Renato Brunetta - sarò il primo a votare contro il prossimo scostamento di bilancio: i soldi europei, per non sprecarli, si portano dietro un cambio di maggioranza e di governo».

Per cui tra le condizioni poste dagli altri Paesi, la demagogia grillina e la minor collaborazione della parte più dialogante dell'opposizione, Conte che si sente più forte domani potrebbe scoprire di essere più debole. Com'è scontato che l'approccio diverso dell'Europa nei confronti dell'Italia terremoterà anche il centrodestra: il pragmatico Berlusconi se ne sarà in disparte mentre parte il piano Marshall europeo per il Belpaese? Tutto è destinato a cambiare: non si parlerà più di elezioni anticipate, ma di un altro governo forse sì. E magari, dalle parti del centrosinistra, Carlo Calenda e Nicola Zingaretti riconosceranno che se Renzi non avesse mandato all'aria i piani di Salvini quest'estate, aprendo ai 5stelle ed evitando le elezioni anticipate, ora quei 209 miliardi di europei l'Europa non li avrebbe messi a disposizione di un governo sovranista? Questo per il passato. Per il futuro, invece, Renzi farebbe bene a non avere la stessa miopia dei suddetti, immaginando che sia possibile ricostruire l'Italia con l'attuale maggioranza giallorossa, con le sue contraddizioni e priva della rappresentanza di un pezzo di Paese importante come il Nord. Il problema è che nessuno ha intenzione di fare il primo passo. «Ciò che succederà è tutto da scrivere - osserva un Renzi scottato per i tentativi del passato - ma a me ora sta bene così». «Non vedo segnali dall'altra parte - ammette Brunetta - ma da noi Conte non avrà altri aiuti».

«Noi - confida il leghista Alessandro Benvenuto - non siamo più restii, ma il primo passo debbono farlo Renzi e Di Maio. Non credo che tutti vogliano un Conte forte». Risultato: tutto è fermo. E forse la vera forza di Conte non sono quei 209 miliardi europei, ma la paralisi della politica.

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