Fragili, confinati nella propria solitudine e con un destino sospeso. Sono le decine di ragazzi, bambini in età scolastica o giovani nel pieno dell'adolescenza, che affollano i centri diurni di accoglienza per i disabili del Lodigiano. Voci dimenticate, vite messe in stand-by a fronte di un' emergenza sanitaria che rischia di spazzare via il futuro delle persone più vulnerabili con la forza devastante di un uragano. Perché loro, quelle creature con le parole strozzate in gola e l'andatura esitante, vivono in una condizione di equilibrio precario da sempre. E il coronavirus non è altro che l'eco lontano di un dolore che già conoscono alla perfezione e con cui sono irrimediabilmente condannati a convivere. Ma se, fino a qualche mese fa, l'esistenza di ''piccole isole felici'' alleggeriva quel carico di sofferenza atroce garantendo loro un porto sicuro dove trovare consolazione, adesso non resta altro che la speranza e una croce da abbracciare. Quei centri d'accoglienza rischiano la chiusura.
È un grido disperato quello che si leva dai Cda dei territori della Bassa, già funestati dall'ondata epidemiologica e, ad oggi, alle prese con l'ennesima, tragica ingerenza. Sono loro ad aver pagato il prezzo più alto del Covid-19 ma, soprattutto, lo scotto di una gestione emergenziale colabrodo. Mancano le risorse, i sostegni economici e persino le promesse stentano ad arrivare. "Se non ci aiutano, qui rischiamo di chiudere", dice Francesco Chiodaroli, direttore del centro polifunzionale Danelli di Lodi. Da quando è esplosa l'epidemia, è stato necessario rimodulare l'offerta di sostegno e supporto per i ragazzi con disabilità favorendo la teleriabilitazione, ad esempio, alle attività tradizionali. Tutto questo ha comportato, non solo un impegno extra da parte degli operatori, ma anche un notevole dispendio economico per l'acquisto di strumenti alternativi di comunicazione e di dispositivi di protezione individuale. Ma dei fondi, quelli che di diritto sarebbero dovuti essere destinati ai Cda, neanche l'ombra. "Abbiamo messo in campo ogni risorsa possibile per garantire la continuità delle terapie alle persone con fragilità. - spiega Chiodaroli a IlGiornlale.it – Abbiamo cercato di non abbandonare quei ragazzi offrendo servizi di assistenza alternativa. E i risultati sono stati più che soddisfacenti. Ma nonostante sia stato riconosciuto il nostro operato, nessuno, a parte il Consorzio territoriale e il presidente Uneba, ci ha aiutati. Abbiamo rinunciato alla cassa integrazione e pagato gli stipendi ai dipendenti di tasca nostra. Abbiamo acquistato nuove tecnologie attingendo alla cassa della Fondazione. Ma quanto ancora possiamo andare avanti così? Non abbiamo alle spalle grossi finanziatori o chissà quali risorse. Prima o poi finiranno e, se nessuno interviene, tra qualche mese rischiamo la chiusura".
Quello che recrimina il direttore della centro Danelli è la mancanza di certezze sui pagamenti delle quote destinati ai Cda, fondi che sono già contemplati nel bilancio dei Comuni. È a loro che Chiodaroli rivolge il suo appello chiedendo che si facciano carico dell'assistenza, anche a distanza, delle persone disabili e della sopravvivenza dei servizi socio-sanitari. "Non vogliamo soldi extra – precisa – ma che ci venga erogato lo spettante messo già a bilancio. Si tratta di un obbligo di legge non di un intervento ulteriore. Finora, abbiamo investito in nuove risorse e pagato gli stipendi ai dipendenti sulla fiducia perché di risposte da chi di dovere non ne abbiamo ricevute. Quantomeno, ci dicessero quando e in che modalità saranno sbloccate queste quote. Noi comprendiamo le difficoltà del momento ma abbiamo bisogno di certezze economiche o rischia di saltare l'intero sistema. Ed è assurdo che in soli 3 mesi si distruggano anni di duro lavoro e sacrifici".
Oltre ai costi di gestione ordinaria del centro, ci sono poi quelli della sanificazione e per l'acquisto dei presidi di protezione individuale. Un'altra nota dolente, anzi dolentissima, che rappresenta l'ennesima falla dell'emergenza post-coronavirus. "Abbiamo investito tantissimo in questi mesi per garantire ai nostri operatori, e agli ospiti della struttura, di svolgere le attività in sicurezza. – continua Chiodaroli – Lo abbiamo fatto a nostre spese. Una sanificazione costa un occhio della testa senza contare poi, che i tempi di attesa sono lunghissimi. Pensi che ho acquistato un sanificatore ad ozono per ovviare al problema, altrimenti rischiavamo di riaprire tra un mese. Per non parlare dei guanti (che non si trovano) e le mascherine ffp2 il cui prezzo è quadruplicato. A gennaio, prima che saltasse fuori il Covid, le pagavo 2,80 cent, ora 15 euro. Ed è un problema serio perché qui ci sono anche persone con malattie trasmissibili tramite derma, non ne possono fare a meno". Nel nuovo Dpcm, cosiddetto di 'Rilancio', Conte destina 44 miliardi proprio ai centri per la disabilità: "Speriamo, aspettiamo fiduciosi. – conclude Chiodaroli – Servono fondi per la fragilità. Noi siamo la 'voce' di questi ragazzi, non possiamo abbandonarli o dimenticarcene".
Lo stesso grido d'aiuto, ancor più disperato e inconsolabile, giunge dalla Cooperativa Onlus Amicizia di Codogno. Da quando è stato registrato il primo caso di contagio, il centro diurno per disabili è stato costretto ha chiudere. È un racconto straziante quello di Monica Giorgis, direttrice del centro. "Non lo dimenticherò mai - racconta con un nodo in gola - Il 21 febbraio scorso, nel tardo pomeriggio, abbiamo deciso di chiudere la struttura, cosa che non abbiamo mai fatto. Avevamo intuito che la situazione fosse ben più grave di quella che sembrasse nei giorni precedenti. Così, di punto in bianco, senza che nessuno ci dicesse cosa fare o quantomeno ci comunicasse qualcosa, ci siamo ritrovati a prendere una delle decisioni più difficili di sempre. Non c'erano le condizioni per garantire la sicurezza ai nostri ragazzi e, quindi, non abbiamo potuto far altro che sospendere i servizi diurni. Per noi, che teniamo davvero a loro è stato terribile fare questa scelta".
I giorni successivi alla chiusura, Codogno ed altri 9 comuni del Lodigiano sono diventati 'zona rossa'. Una mazzata netta tra capo e collo per Monica e i suoi colleghi, per nulla intenzionati ad abbandonare gli ospiti del centro ad un destino già molto incerto in un momento profondamente drammatico. Così, nonostante tutte le avversità del caso, e il lockdown, hanno pensato ad una serie di servizi alternativi per garantire la continuità socio-assistenziale e sanitaria ai loro ospiti. "Abbiamo pensato progetti in delega e di assistenza domiciliare per garantire a questi ragazzi una boccata d'aria - spiega - Abbiamo rimodulato gli interventi perché non potevamo abbandonare né loro né le famiglie. Ci siamo ingegnati qualunque cosa pur di continuare ad aiutarli".
Ovviamente, la rimodulazione dei servizi ha richiesto un esborso di danaro considerevole. Monica ha provveduto lei stessa a procurare dispositivi di protezione individuale agli operatori della struttura e per gli assistiti. "In quel periodo, c'era grossa carenza di DPI. - continua il racconto –Ho richiesto personalmente mascherina dalla Cina, siamo andati a recuperare l'occorrente anche fuori regione con permessi speciali per gli spostamenti. Abbiamo messo in piedi una macchina da guerra in pochissimi giorni per garantire la continuità dei servizi".
Tutta, nonostante l'impegno profuso e gli investimenti economici cospicui, neanche per la Cooperativa Onlus Amicizia sono arrivate le quote di sostegno finanziario né i soldi della cassa integrazione. "In tre mesi, tra varie ed eventuali, abbiamo speso ben 100mila euro. - precisa la dottoressa Giorgis - E se non fosse per gli aiuti che ci sono arrivati dal territorio, non so come avremmo fatto. È da mesi che ormai anticipiamo i soldi della cassa integrazione, di certo non possiamo permetterci di non pagare gli stipendi a chi lavora o ha lavorato in questo periodo difficile. Ma non sappiamo quando e come ci verrà riconosciuto quello che abbiamo fatto. Le entrate sono sparite e le uscite raddoppiate. Non so per quanto tempo potremo andare avanti".
Da qualche settimana, ha riaperto l'ambulatorio per i minori ma resta un grosso enigma la gestione del centro diurno a fronte delle norme attuali di distanziamento sociale. "In questo centro ospitiamo ragazzi con disturbi cognitivi e comportamentali gravissimi. Come fai a spiegare ad un ragazzo che gioca con la propria saliva che deve mantenere la distanza di un metro dall'operatore o dal suo compagno? - spiega - Ci dicono che dobbiamo garantire 15/20 metri quadrati ad ospite. Ciò significa che, se prima ospitavamo 30 persone, adesso ne possiamo far venire 15. E gli altri cosa fanno, restano a casa? Potremmo lavorare su turni, certo. Ma chi paga poi gli stipendi raddoppiati ai dipendenti? Senza contare che servono protezioni integrali, tute, per interagire con i ragazzi con maggiore disagio perché, in certi casi, ti sputano anche addosso. Suggeriscono la teleassistenza ma non è sempre possibile, non con tutti. E poi, come si fa a chiedere ad un genitore, che magari torna a casa da lavoro stanco e che vive il momento di crisi, di impegnarsi in una attività col figlio? Mettiamo il caso che inviamo un video tutorial su come fare una torta. Ma le sembra possibile che un papà o una mamma, a fine giornata, possa mettersi a fare un dolce con un ragazzino che non sta fermo neanche un minuto? Le famiglie sono in difficoltà, sono stanche, non ce la fanno più. Dobbiamo dare anche a loro una boccata d'aria".
Una sofferenza atroce che rischia diventare una ferita sociale profonda e
insanabile. "Nessuno può cogliere la solitudine di queste persone. - conclude Monica Giorgis – È un dolore che ti porti dietro tutta la vita. Non dobbiamo e non possiamo abbandonare questi ragazzi".
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