I capitalisti si preparano al "cigno verde"

I capitalisti si preparano al "cigno verde"

La prossima crisi finanziaria sarà ancora più violenta delle precedenti. E a causarla sarà un cigno verde. E non più uno nero come quello del libro di Nassim Nicholas Taleb. Questa volta il cigno sarà verde come il movimento che denuncia il cambiamento climatico quale minaccia per l'umanità. E che, ci piaccia o meno, ha già iniziato a cambiare il mondo. Perché la novità, in questo inizio di anno e di decade, è che il rischio climatico sta uscendo dai confini colorati delle piazze e delle traversate oceaniche di Greta Thunberg per salire ai piani alti. Quelli veramente alti. E da lì farà cambiare direzione al capitale. Cioè al capitalismo.

Non a caso, a colorare il cigno di verde è stata la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri), quell'organizzazione mondiale che rappresenta la «Banca delle Banche centrali». Ebbene, il suo ultimo rapporto, scritto dai cinque dei suoi economisti alla vigilia del World Economic Forum che inizia oggi a Davos, si intitola proprio così: «Cigno verde. Cambiamenti climatici e stabilità del sistema finanziario: quale ruolo per banche centrali, regolatori e supervisori». Per la Bri il cigno verde è molto più insidioso di quello nero, per almeno tre motivi: il primo è la certezza che i rischi legati al clima si concretizzeranno, anche se non possiamo sapere quando; il secondo è che parliamo di catastrofi naturali, con serie conseguenze sull'intera umanità; il terzo è che gli effetti di una crisi climatica sono estremamente complessi ed esposti all'effetto domino.

Il cigno di Taleb è nero perché rappresenta l'imprevisto o, meglio, l'imprevedibile: l'evento che stravolge le attese e produce un cambiamento epocale. Cambia la storia. Un cigno che, prima o poi, arriva sempre. E che conferma il celebre aforisma dell'economista americano John Kenneth Galbraith, per il quale «la sola funzione delle previsioni in campo economico è quella di rendere l'astrologia un po' più rispettabile».

Prepararsi al cigno verde è dunque impossibile. Non è nemmeno possibile saper come sarà fatto, che disastri causerà e in quale ordine. Ma sul suo arrivo, più o meno imminente, è difficile nutrire ancora dubbi. Per cui si sta andando verso un nuovo sistema di produrre, consumare, investire e muoversi non solo o non tanto perché sarà (forse) più «sostenibile»; ma perché i grandi capitali che finanziano, da sempre, la scienza e la tecnologia, e dunque il progresso, hanno fatto la loro scelta. Ma questa transizione porta con sé incognite di ogni tipo, avrà costi enormi e cambierà il paradigma dello sviluppo così come lo conosciamo e lo applichiamo adesso.

D'altra parte il capitalismo non è mai rimasto uguale a se stesso, cambiando pelle al mutare dei grandi equilibri sociali e geopolitici. E questa assomiglia assai a una di quelle fasi storiche. Non lo dice solo la piazza di Greta. Ora ce lo dice addirittura la Bri. Ce lo ha detto l'altro giorno il grande capo di Blackrock, il più grande fondo d'investimento del Mondo: Larry Fink ha avvertito che voterà contro nei cda e toglierà capitali alle società che non metteranno in atto comportamenti economici sostenibili.

Ce lo ha detto proprio ieri anche la Bce, annunciando che il rischio climatico sarà incorporato nelle regole su prestiti e acquisto titoli. E così sarà, via via, per tutto il sistema bancario sottostante. Il che, semplificando, può essere tradotto così: «Vuoi un prestito? Te lo do se sei green. Se no niente. Perché è troppo rischioso».

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