Il dottor Sottile la spara grossa: va riconosciuta dalla legge «l'evoluzione scientifica e tecnologica (leggasi procreazione assistita e utero in affitto, nda) nell'ambito della filiazione». Un linguaggio tecnico, da cinico giurista, quello scelto dal presidente della Consulta Giuliano Amato, che nasconde una certa faciloneria. I figli sono tutti uguali, «il concetto di famiglia» no.
Possono esistere due papà o due mamme? Bisognerebbe adattare la Costituzione a un'astrazione, una fictio juris: il concetto di famiglia sarà pure cambiato ma per fare un figlio serve (ancora) il seme di un uomo e l'ovulo di una donna, magari condito con un po' di amore. A Milano Comune e Tribunale si palleggiano il riconoscimento di un minore nato con due papà in nome del principio che gli effetti della «gravidanza per altri» non siano contrari all'ordine pubblico. O l'utero in affitto è un reato universale, come scrive la stessa Corte costituzionale (sentenza 33 del 2021) e come sostiene la leader Fdi Giorgia Meloni, o no. Di recente a Torino e a Roma non è stata trascritta all'anagrafe la nascita di due bimbi nati all'estero da due distinte coppie di mamme. Non si possono dare entrambi i cognomi né si possono registrare entrambe come madri. Banalmente la mamma è una sola e ci deve essere.
C'è un pronunciamento della Corte di Cassazione (sentenza numero 8029/2020) che al momento fa giurisprudenza. La sentenza stabilisce che secondo quel che resta della legge 40 del 2004, solo le coppie eterosessuali possono accedere alle tecniche di fecondazione artificiale perché, nonostante l'ok alle unioni civili, «il riconoscimento della capacità delle coppie omosessuali di accogliere, crescere ed educare figli non implica lo sganciamento della filiazione dal dato biologico» visto che «l'aspirazione della madre intenzionale a essere genitore non assurge a livello di diritto fondamentale della persona e la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli». Anzi: «La libertà e la volontarietà dell'atto che consente di diventare genitori non implica che possa esplicarsi senza limiti».
Allora dov'è la stortura che lamenta Amato? Si nasconde nella cosiddetta stepchild adoption, l'adozione da parte del partner del figlio biologico del compagno o della compagna, che la sentenza delle Sezioni unite 12193 del 2019 ha indicato come utile punto di equilibrio tra i diversi interessi in gioco. La Cassazione ha chiesto lumi alle Sezioni unite (ordinanza 1842/2022) per superare vuoto normativo e divieto generalizzato ma secondo la Corte costituzionale in casi particolari l'adozione non è comunque idonea a garantire ai minori nati con l'utero in affitto il diritto a uno status. E fa sorridere che si ammanti di amore una violenza contro un figlio - privato per sempre della figura del padre o della madre «naturale» - ma tant'è. Il mondo Lgbt definisce questi distinguo «una precaria prassi amministrativa» sostenendo che «un progetto di genitorialità» si possa decidere a tavolino, davanti a una provetta. E così la Suprema corte ha chiesto al Parlamento di individuare una cornice in cui i giudici possano fornire la loro «interpretazione adeguatrice» in considerazione dell'interesse del minore «alla tutela dell'identità personale e al pieno dispiegamento della sua vita privata e familiare». Un compito difficile per qualsiasi Parlamento, figuriamoci quello «balcanizzato» che scadrà tra pochi mesi.
Amato poteva anche risparmiarci la favoletta dell'inderogabile «principio costituzionale» chiamato «supremo interesse del minore», che non incanta più nessuno. Il diritto della madre ad abortire già oggi prevale su quello inesprimibile, ma non per questo inesigibile, del nascituro.
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