I licenziamenti non indignano se a deciderli è la coop rossa

I licenziamenti non indignano se a deciderli è la coop rossa

A l di là del balletto sulle cifre, un dato è chiaro: l'acquisizione dei supermercati Auchan da parte di Conad comporterà un gran numero di esuberi. Quasi sicuramente alcune migliaia.

La vicenda non sorprende, dato che il colosso della grande distribuzione potrà anche avere alle spalle una storia di battaglie cooperative e rigetto del profitto, ma se deve stare sul mercato ha bisogno di fare i conti del dare e dell'avere. E quando un'azienda non funziona perché i dipendenti sono troppi, può essere necessario procedere a un ridimensionamento. Parafrasando la celebre battuta di Humphrey Bogart, si potrebbe dire: «È il mercato, bellezza!». La ristrutturazione, infatti, non è condotta da cinici gestori di fondi o da imprenditori fatti da sé e dominati dall'ansia del profitto, poiché ad agire in tal modo sono proprio quegli ambienti che da sempre si schierano contro ogni licenziamento quando ad avere tale necessità sono gli altri. E certamente è impossibile disgiungere del tutto le cooperative rosse dai partiti di sinistra, dalla cultura dell'operaismo socialista, dal sindacalismo militante.

D'altra parte, la stessa strategia commerciale Conad rinvia a una retorica del politicamente corretto che è ben più di un biglietto da visita: dal verso di John Donne («nessun uomo è un'isola») al bando dell'olio di palma nei biscotti, dalla promozione dei prodotti a marchio «bio» agli scaffali riservati all'equo e solidale. Il mondo starà anche cambiando alla svelta, ma le coop restano saldamente a sinistra. D'ora in poi, però, il motto «persone oltre le cose» andrà reinterpretato, perché adesso sappiamo che essere dalla parte della gente non significa rinunciare a ristrutturare quando è opportuno: dato che è meglio perdere alcune migliaia di posti adesso invece che decine di migliaia tra pochi anni.

Nei piani alti di Conad si sa distinguere assai bene tra la retorica populista da comizio e la saggezza responsabile di una buona amministrazione aziendale. Cosa avremmo letto su certa stampa, però, se a decretare l'allontanamento di tanti lavoratori all'indomani di un'acquisizione fosse stata l'Esselunga fondata da Bernardo Caprotti o un colosso tedesco come la Lidl? Si sarebbe messo sul banco degli imputati il capitalismo in quanto tale, che per definizione è ritenuto spietato e senza cuore.

Siccome, però, a licenziare sono gli amici di sempre, la grancassa progressista rimane silenziosa.

Alla fine, pagheranno i soliti noti, dato che il governo ha già fatto sapere che s'interverrà con prepensionamenti, cassa integrazione e altre azioni di solidarietà.

Anche stavolta, come già in innumerevoli altre circostanze in passato, a dover

sostenere i costi saranno insomma quanti vengono quotidianamente tosati da questo Stato esoso, ormai controllato da un ceto politico che usa la parola «solidarietà» solo per coprire interessi ben poco limpidi e confessabili.

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