Per molti il fatto che i consiglieri di amministrazione Rai, cioè i rappresentanti dei partiti, siano venuti a conoscenza della partecipazione del Capo dello Stato solo poche ore prima dell'inizio del Festival di Sanremo significa poco. Una quisquilia, una delle tante querelle che hanno fatto la storia dell'azienda di viale Mazzini. In realtà offrono uno spaccato reale su chi conta davvero nella tv pubblica, cioè nella più grande industria culturale del Paese.
Senza polemica, appare chiaro che la Rai dei partiti ormai è un pallido ricordo. O, meglio, la politica conterà pure per le minutaglie, cioè la solita spartizione delle direzioni di Tg, reti o programmi. Poltrone, appunto, che sono però ben poca cosa rispetto a un festival che ha raccolto martedì sera 10,5 milioni di spettatori davanti alla tv.
Lì i re sono altri. E hanno volti meno noti della Meloni, di Salvini, di Berlusconi e di Letta. L'idea di portare al festival il presidente Mattarella è venuta, a quanto pare, al direttore artistico Amedeus, ma il vero deus ex-machina è stato il suo agente, Lucio Presta, l'impresario che ha monopolizzato l'intero palco del teatro Ariston, visto che fa gli interessi pure di Roberto Benigni e di Gianni Morandi, cioè di chi ha tessuto le lodi della nostra Costituzione e di chi ha cantato l'inno nazionale. Sono loro che si sono presentati sotto gli occhi benevoli del capo dello Stato come i depositari dello spirito della Nazione, magari - ma questa è solo una suggestione - contro quelli che vogliono modificare la nostra Carta. Come se dopo tanti discorsi sulle riforme ipotizzare qualche cambiamento possa essere considerato un attentato: e pensare che sono stati gli stessi padri Costituenti a dettare le regole per aggiornarla.
Pure la presenza di Mattarella ha avuto una valenza sul piano della comunicazione: è stata - altra suggestione - una risposta indiretta e subliminale a chi aveva criticato la presenza di Zelensky al festival osservando che un capo dello Stato non va ad un festival di canzonette. A questo punto se c'è stato il presidente italiano perché non poteva fare la sua apparizione anche quello ucraino?
Ecco i Presta e i Beppe Caschetto (per fare un altro nome), con gli artisti, i giornalisti, i cantanti che rappresentano, sono quelli che in fondo hanno le chiavi del cappello culturale del festival come pure della tv pubblica. Sono i padroni di casa coperti dall'anonimato. E possono infischiarsene del cda, del presidente o dell'ad della Rai: quelli passano con le legislature, loro no. E hanno sostituito il potente «partito Rai» che ha assicurato l'egemonia della sinistra sulla tv pubblica per decenni. Solo che quel partito era dentro l'azienda, ne interpretava lo spirito a suo modo, loro invece ne sono fuori.
E, al di là della bravura dei nuovi Mangiafuoco dello spettacolo, se giocare un simile ruolo nella tv commerciale è legittimo - ci mancherebbe! - tanta influenza sulla tv pubblica fa sorgere il dubbio che i discorsi in Parlamento sull'imparzialità della Rai e sulle direttive che dovrebbe dare all'azienda la commissione di Vigilanza, siano solo fiato sprecato.
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